Cultura

La relazione che fonda ogni principio di vita

Scaffale «TRA. Per una fenomenologia dell’incontro» del filosofo giapponese Bin Kimura

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 15 gennaio 2014

La potenza e il limite della metafisica risiedono in gran parte nei dualismi che la intridono. Potenza perché i dualismi nascono anche dalla «differenza», dalla percezione di una distanza profonda e costitutiva tra l’umano e la natura, tra l’interiorità/anima/mente e l’esteriorità/corpo/materia, tra il tempo e lo spazio. Limite perché il rimanere in tali e altri dualismi impedisce una comprensione radicale dell’essere, qual è quella a cui la metafisica giustamente aspira.
Altre culture e civiltà non europee sono molto meno permeate di dualismi e quando entrano attivamente in contatto con la nostra filosofia possono contribuire a stemperarne le opposizioni, senza porsi con essa in conflitto ma anzi facendone emergere gli elementi di unitarietà molteplice, dei quali la filosofia europea è anch’essa pervasa.

Il libro di Bin Kimura – psichiatra, psicoterapeuta e filosofo giapponese – dal titolo TRA. Per una fenomenologia dell’incontro (trad. dal giapponese di Luca Capponcelli, Il Pozzo di Giacobbe, pp. 172, euro 15) è esemplare di questo incontro proprio perché uno dei suoi concetti fondamentali è aida, che nella lingua nipponica vuol dire «tra». È quindi all’opera nel pensiero di Kimura una traità che, come accade anche in Martin Buber, sembra essere la convergenza tra l’identità di ogni cosa con se stessa e la differenza con ciò che è altro da essa.

L’essere-con (Mit-sein) di Heidegger è articolato da Kimura come essere-tra. L’incontro tra le persone è reso possibile dalla relazione che ciascuno intrattiene con lo spazio corporeo che occupa e con lo slancio temporale che lo costituisce.
Nella cultura giapponese traità intrapersonale e traità interpersonale non sono a loro volta separate da ciò che noi chiamiamo natura. In quella lingua, infatti, il nostro viene indicato con l’espressione mizukara, ciò che si origina dal corpo che sono, mentre la nostra Natura è significata con la parola onozukara, quel che esiste in virtù di se stesso e della propria potenza, ma entrambi – come si sente – hanno la medesima radice. Il tra vero e proprio, aida, è tale convergenza di Sé e Natura, di consapevolezza e materia, di interiorità ed esteriorità; convergenza nella quale il Sé si costituisce in quanto parte del movimento con il quale la natura edifica se stessa. Il superamento dei dualismi è intrinseco al linguaggio stesso e quindi alla filosofia giapponese.
Kimura articola tale convergenza – anche sulla base degli studi di Thure von Uexküll – come unità/traità di persona umana e ambiente; di corpo, mente, relazioni interpersonali e relazione con la natura ma soprattutto la articola come originale declinazione dei concetti husserliani di noesi e noema.

La concezione che Kimura ha del tempo si fonda su un’altra sua intuizione: il «fondo della vita». Con tale espressione il filosofo giapponese intende la potenza naturale, l’energia vitale, il movimento senza requie che intride la materia e che nell’essere umano diventa direzione verso il futuro e conservazione costante del passato.

Il fondo della vita è dunque il presente, concettualmente incoglibile ma dal quale si «dispiega incessantemente il tempo». Tempo che è la differenza tra i singoli istanti che lo compongono e l’identità del dinamismo che coniuga tali istanti tra di loro.
In questo «tra», in tale aida, accade il Sé come «unico movimento perpetuo (che) a ogni istante è come la corrente del tempo che passa dal passato, attraversa il presente, per poi dirigersi verso il futuro». Aida è vicino – simile e diverso – al ma, parola che in giapponese indica sia un intervallo temporale tra due eventi sia la relazione di ogni istante ed evento con se stesso.
Emerge così la parola chiave: evento. In giapponese mono indica la cosa, l’oggetto; koto esprime l’evento; kotoba significa la parola, la quale è quindi profondamente radicata nell’evento, come sua delimitazione, come suo perimetro. Koto è però termine radicalmente polisemantico, che indica – tra l’altro – «fatto, incidente, affare, relazione, circostanza, esperienza, voce, caso, fondamento».
La differenza tra mono e koto, tra cosa ed evento, costituisce la struttura del mondo e la sua possibilità di comprensione: «Mono prende il proprio posto in uno spazio reale o ideale mentre koto non prende spazio ma tempo, si temporalizza nell’esperienza di un soggetto. Mono è rappresentato come l’essente che è reale o immaginario, indipendente dall’esperienza di un soggetto, mentre la presenza di koto richiede sempre la partecipazione di un soggetto che lo esperimenti. (…) Si parla di mono se si indica una cosa o un oggetto nel suo essere utilizzabile, oggettivo al di fuori della vita soggettiva, mentre si parla di koto quando si tratta di designarli nella loro realtà soggettiva o intersoggettiva nella vita».

Koto è l’evento che accade tra gli esseri umani e tra gli umani e le cose. Esso è quindi proprio il «tra» come azione che accade adesso e che nel suo accadere struttura l’evento che in sé raccoglie passato e futuro. «Tra» è il tempo non spazializzato, il tempo autentico della natura diventata consapevole di sé nel sé umano, in ciò che possiamo ancora chiamare mente purché non la si separi dal corpomondo.

In una delle sue pagine più dense, questo libro lo dice con chiarezza: «Nella nostra coscienza del tempo non si può avere coscienza assoluta dell’istante presente puro. Il tempo cosciente è sempre solo passato o futuro. Nell’acquisire coscienza del tempo, esso si modifica in un’immagine spaziale. (…)Il tempo spazializzato in tal modo è un tempo noematico. Mentre il tempo noetico indica il formarsi del tempo in ogni presente, ed è una realtà scevra di qualsiasi contaminazione spaziale, che non può essere sperimentata, ma senza la quale non potrebbe esistere alcuna idea di tempo».

Contrariamente a quanto afferma Kimura, tuttavia, del presente puro possiamo avere coscienza: è lo spazio che ci sta davanti, che si dispiega in tutta la sua apparente immobilità, ma che accade come forma e parte anch’esso del tempo unitario che scorre incessante e che fa di ogni mono e di ogni koto quel tra che è il mondo stesso.

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