Visioni

La coscienza rock di Nada

La coscienza rock di NadaNada, sotto la copertina dell'album «Occupo poco spazio»

Musica La cantante toscana parla del suo nuovo album dal titolo «Occupo poco spazio». Storie piccole e grandi, di amori, solitudini e scelte di vita difficili

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 9 marzo 2014

E’ un «contrasto vivente» Nada, la cantante toscana che dai trascorsi giovanili travolgenti a Sanremo si è affrancata velocemente grazie agli incontri con Piero Ciampi, Dario Fo, gli Avion Travel, giusto per citarne alcuni. Perché a fronte di un carattere solare, un contatto positivo con la gente e con i musicisti, rivela nelle canzoni che personalmente – liriche e musiche – scrive, un moto dell’animo riflessivo volto alla ricerca di personaggi dalle vite complicate e difficili. È il caso dell’ultima sua fatica discografica. Fatica vera visto che le dieci canzoni che compongono il cd (in uscita il 14 marzo) se le è belle che prodotte, registrate e distribuite garantendo in prima persona.

Occupo poco spazio è il titolo giusto per raccontare storie di fantasia ma terribilmente vere, con protagonisti pericolosamente in bilico fra autodistruzione e emarginazione. Dove, si badi bene, non c’è mai rassegnazione, anzi la parola che più ricorre è «libertà». Quella della ragazza al centro de La mia anima: «mi infilo nei tuoi giorni come un corpo dentro i panni, senza pensare ai movimenti. Perché è libero il mio mondo». C’è tanta musica, dura, catartica ma affatto complessa, diremmo quasi liberatoria sia nei ritornelli che negli incisi. E suonata da un ensemble composto da artisti nel giro del rock indipendente, «tipi» come Afterhours, Baustelle, Le luci della centrale elettrica, Calibro 35, tanto per gradire. Gente che da tempo ha eletto Nada musa «prediletta»: andate a ripescare Tutto l’amore che mi manca, prodotto da John Parish nel 2003, e capirete. A guidarli (magistralmente va detto) c’è Enrico Gabrielli, 24 anni, polistrumentista, musicista e anche attore, all’occorrenza..

Insomma, cara Nada, tu per il rock italiano sei diventata come Marianne Faithfull negli anni ottanta: un punto di riferimento…

Oddio (e si schernisce ridendo,ndr) sono loro che mi cercano. Mi piacerebbe suonare sempre con i ragazzi ma sono impelagata in mille progetti. Penso che sentano dai miei pezzi la passione vera, la voglia di comporre buona musica. O almeno ci provo e loro percepiscono questo sforzo. Per Occupo poco spazio abbiamo lavorato molto in fase di preparazione, poi abbiamo preferito registrare tutto praticamente live in pochi giorni.

Musicalmente è un disco che osa costruzioni e arrangiamenti complessi. Dove è forte la presenza dei fiati a «rincorrere» la tua voce…

Li ho voluti io sin dall’inizio quando «giocavo» con le canzoni al computer di casa. Poi quando ho incontrato Enrico gli ho spiegato che idee avevo. Lui è stato bravissimo a metter in piedi una piccola orchestra che non doveva essere classica, ma doveva suonare con un afflato rock. Poi è stato semplice, senza affanni. E quando avevo bisogno di tempo per metabolizzare bene arrangiamenti e partiture man mano che venivano scritti, mi fermavo e elaboravo. Senza stress…

Brani di impatto come i personaggi – forti – che racconti. Vite che sentono il disagio sulla propria pelle…

Mi viene naturale andare a pescare nel dolore, nelle scelte drammatiche che spesso siamo costretti a fare. Perché credo sia da lì che nascano le cose più sincere, e così diventiamo più veri, più forti e anche più interessanti. Che senso ha parlare di perfezione, bellezza, di una persona ben vestita? Cosa c’è di stimolante? Raccontare il disagio e il tormento, questo ti rende unico. Poi io in realtà sono molto solare, esco e mi diverto. La «capacità», chiamiamola così, di dar vita a personaggi borderline è una parte del mio carattere, nulla di prestabilito. A me piace la verità, e non mi fanno paura le debolezze e le fragilità. La depressione, ad esempio, perché si deve nascondere? Vuol dire che una persona ha una sensibilità, sente le cose e le elabora dentro di sé. Perché nella nostra società deve essere percepita come una sorta di handicap?

«La terrorista» – uno dei pezzi di maggiore impatto – sembra in realtà la metafora della paura del diverso…

Sì, è il racconto di una barbona, ma potrebbe anche essere semplicemente una persona che non si veste in un certo modo, o alla quale è successo qualcosa tanto forte da sconvolgerla. E quando fugge, nell’equivoco, viene rinchiusa in carcere. La paura del diverso – non parlo solo di extracomunitari – mi lascia allibita all’alba del 2020…

Oltre alle musiche e ai testi, hai scelto anche una copertina shock, con una donna coperta da una maschera inquietante…

In realtà è una maschera di origami (il progetto grafico è di Francesca Lombardi, ndr). L’idea era di realizzare un servizio fotografico, poi quando sono arrivata a casa di Giacomo Favilla (il fotografo, ndr) ho visto queste immagini e ho capito che erano perfette per la copertina. La piccola donna ritratta ti fa evocare mille cose ed è giusta anche per la musica. Le maschere le abbiamo poi utilizzate per il video de L’ultima festa.

nada_occupo_poco_spazio

A proposito de «L’ultima festa», sembra un’allegoria della nostra società in crisi…

Io allargherei al mondo. Un pianeta che ho come l’impressione si stia spegnendo: troppe guerre, ingiustizie, lotte sociali.

Un pianeta al capolinea, come Sonia che non riesce ad affrontare la vita e così – canti «non c’è niente che la fa piangere ma le sue lacrime scendono da sé»… Affronti anche una tematica ’religiosa’ nel disco. Chi stai evocando realmente ne «Il tuo dio»?

Non sono credente ma devo ammettere di essere attratta dalle religioni e da un certo misticismo. Ho una voglia di conoscere e nel pezzo il «mio» dio è la natura, di cui mi sento parte integrante. Sono al posto giusto quando mi penso immersa in una foresta, in un bosco ed è quindi naturale che noi esistiamo. E alla fine ce ne andiamo…

Dal 2003 con «Le mie madri», hai intrapreso una parallela carriera come autrice di libri. Nel 2008 «Il mio cuore umano» e due anni fa «La grande casa», dove la protagonista Elke Richter rileva una vecchia fornace e la trasforma in una grande villa, un luogo dove trovano rifugio persone che amano il silenzio. Nel romanzo si parla anche di una grande amicizia fra donne…

È un libro nato dal desiderio che esista davvero un posto così. Un luogo dell’anima dove possiamo trovare pace. L’ho rappresentato in maniera fisica, immaginandolo con tante persone alla ricerca di pace e equilibriio. Spesso sono disastrati e rifiutati, ma finiscono sempre con il riscattarsi. Scrivere un romanzo è più semplice che scrivere dei testi, dove sei costretto a seguire la metrica e la successione delle note.

Il teatro è un’altra tua grande passione, in passato hai collaborato con Dario Fo, Marco Messeri e di recente hai portato in scena un testo autobiografico: «Musica romanzo»…

Una bella esperienza ma sto pensando a un altro progetto per il palcoscenico. In realtà mi piacerebbe lavorare per il cinema, e se mi proponessero un ruolo interessante vorrei provarci. Magari scopro di avere talento o magari che è meglio smettere… Chissà, d’altronde a me piace fare cose sempre diverse…

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