Il sindaco di Riace: «Il migrante è una risorsa e non un business»
Intervista L’accoglienza secondo il sindaco di Riace Mimmo Lucano: «I 35 euro al giorno che lo stato elargisce per l’ospitalità li investiamo per creare posti di lavoro»
Intervista L’accoglienza secondo il sindaco di Riace Mimmo Lucano: «I 35 euro al giorno che lo stato elargisce per l’ospitalità li investiamo per creare posti di lavoro»
La rivista statunitense Fortune lo ha classificato tra le «50 personalità più influenti del pianeta». Mimmo Lucano, sindaco di Riace dal 2004, è un uomo schivo che non si lascia ammaliare dalle luci della ribalta.
Sente più l’onore o il peso di questo riconoscimento? E che effetto fa, a un uomo riservato come lei, essere annoverato tra le personalità influenti del globo?
La premessa è che non sono, né mi sento, potente piuttosto che influente. Qui a Riace abbiamo solo sperimentato un’idea che a me è connaturata sin dai tempi in cui militavo, negli anni’70, nel movimento studentesco. Volevamo un mondo libero e giusto e abbiamo provato a costruirlo in queste lande. Io faccio il mio lavoro di sindaco con normalità. La nostra la definisco l’utopia della normalità. Mai troveranno spazio ordinanze contro rom o lavavetri come accaduto altrove. Perché, come dico spesso, il migrante che arriva a Riace ha gli stessi diritti del sindaco. È un microcosmo che declina una Calabria solidale, dove i germi dell’umanità hanno attecchito. E questo è anzitutto un processo culturale che mi piace condividere con tutti e che deve partire da una consapevolezza, ovvero che fenomeni epocali, come le migrazioni cui stiamo assistendo, non si arresteranno finché non cesseranno le politiche predatorie del mondo occidentale.
Perché un laboratorio come quello di Riace, un esperimento di integrazione reale da perseguire e da emulare, è stato ignorato per anni, o è arrivato agli onori della cronaca con grande ritardo?
Perché è più facile urlare, veicolando odio e disprezzo come fa Salvini che è onnipresente in tv. Le guerre tra poveri, le isterie xenofobe, le speculazioni fanno audience, mentre i casi di buona politica dell’immigrazione ne fanno molta meno. La nostra “utopia della normalità” non tira perché è più facile diffondere un discorso razzista che costruire ponti sociali e meticciati culturali. Anche le soluzioni semplicistiche, come combattere il traffico di esseri umani bombardando le carrette del mare come disse Renzi mesi fa, sono boutade che non risolvono i problemi, sono solo utili alla propaganda.
A Riace si accoglie il migrante e non lo si respinge, lo si inserisce nel tessuto sociale e non lo si rinchiude in un hot spot. Qui vivono stabilmente e lavorano 400 rifugiati. Che idea s’è fatto delle politiche europee in tema di immigrazione?
A Riace non esistono linee di demarcazione, fili spinati, gabbie. C’è semplicemente un’integrazione diffusa dove aborriamo ogni forma di nazionalismo che è alla base dei fallimenti dell’Europa in tema di processi migratori. Pochi credevano che un borgo semideserto si potesse davvero rianimare, che le botteghe artigiane della tessitura della ginestra o della lavorazione della ceramica potessero davvero riaprire, che a Riace si potessero davvero organizzare asili e scuole multilingue per far crescere i figli dei migranti senza bandiere e barriere nazionali, etniche o religiose.
Il laboratorio Riace nasce e cresce nelle specificità della Locride. Come si concilia con la narrativa criminale in cui la Locride è confinata?
La Calabria è una terra stranissima, è la terra degli estremi e delle contraddizioni. Qui a Riace non ci sentiamo portatori di un’idea salvifica ma crediamo che sia la normalità la vera utopia rivoluzionaria. Le risorse che lo stato destina ai migranti le spendiamo al meglio. I 35 euro al giorno che lo stato elargisce per l’ospitalità di ogni migrante – un costo dimezzato rispetto a quello che comporterebbe la sua permanenza in un centro d’accoglienza – non li usiamo in modo assistenziale e parassitario, ma li investiamo per creare posti di lavoro, istituire borse di lavoro. E i migranti molte volte li usano come rimesse verso i loro paesi di origine. Perché qui nulla si spreca e mai si specula.
In altri contesti le risorse disponibili per l’accoglienza sono state accaparrate da mascalzoni che a volte hanno intrappolato i migranti in strutture indegne. In alcuni casi si sono persino infiltrate le mafie. Come fa un amministratore a distinguere i veri operatori dell’accoglienza dagli speculatori?
Partendo da una presa di coscienza: che il migrante è una risorsa e non un business. Che non si lucra sulla disperazione della povera gente ma si lavora insieme a loro per il riscatto. Quel che in questi anni abbiamo provato a fare con il nostro ’albergo diffuso’, cioè l’assegnazione ai migranti delle case abbandonate, che è arrivato a disporre di ben 150 posti letto. Oppure con i laboratori artigianali, la raccolta differenziata dei rifiuti – che all’inizio i migranti facevano con gli asini, per inerpicarsi nei vicoli del borgo – e poi con le piccole imprese di agricoltura biologica.
Sabato prossimo parteciperà al convegno di Cassano allo Jonio su “Riduzione in schiavitù e l’alternativa di Riace”, organizzato dall’associazione “Combinato disposto” con Arci, Flai Cgil e il vescovo don Savino. Non teme che la schiavitù possa costituire un moderno modello di sviluppo e una diffusa disciplina del mercato del lavoro?
Assolutamente sì. Qui nel mezzogiorno i migranti vivono una condizione di schiavismo legalizzato. Ma non se ne esce rafforzando le politiche securitarie, impiantando uno stato di polizia o inasprendo le leggi ma solo estendendo le tutele e garantendo politiche di accoglienza.
Il papa è già stato a Lampedusa, sabato si recherà a Lesbo. Si aspetta che un giorno Bergoglio arrivi a Riace?
È un mio sogno. Tra l’altro papa Francesco è legatissimo a Riace, quand’era vescovo di Buenos Aires ci accolse insieme alla comunità emigrata riacese. Il suo messaggio rivoluzionario è quello che più si avvicina al quell’universalismo dei diritti che qui, nel nostro piccolo borgo, cerchiamo di praticare giorno per giorno.
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