La vista delle catene nell’aula di tribunale a Budapest non era bastata. Per Nordio e Tajani «irrituale» era la speranza della famiglia e dei difensori di Ilaria Salis che il governo italiano facesse qualcosa per riportarla in patria o per farle avere gli arresti domiciliari in ambasciata. Ieri la Corte di appello di Milano ha scritto – in un’ordinanza che riguarda il caso di un altro italiano – che nella carceri ungheresi c’è il rischio di trattamenti inumani e degradanti e dunque ha detto di no all’estradizione.

La notizia scuoterà dall’inerzia almeno uno dei due nostri ministri? Nordio, che si ricorda della separazione dei poteri solo quando gli fa comodo (non quando deve intimidire con ispezioni e accertamenti il tribunale di Catania o la stessa Corte d’appello di Milano), si era barricato dietro uno dei suoi motti: parlino i giudici, non i governi.

Ieri i giudici milanesi hanno sollevato il caso ufficialmente, in linea con le richieste della procura generale. Sarà conseguente il ministro, al quale tocca il compito di ottenere garanzie dall’Ungheria sulla reciprocità delle misure cautelari?

Le aspettative sono poche. Se per il governo italiano è «irrituale» chiedere un trattamento umano e non degradante per Ilaria Salis è viceversa rituale che l’Ungheria la tenga in ceppi e la esponga alla gogna. «Accade da tante altre parti», hanno detto infatti diversi esponenti di maggioranza, Meloni compresa, compiaciuti dal mal comune. Che tanto male per loro non è, visto che non fanno niente per tirare fuori le carceri italiane dal degrado o i detenuti da quegli abissi.

Siamo il paese che ha consentito i sequestri illegali di presunti terroristi sul suo territorio, che ha lasciato assolvere negli Usa i piloti del Cermis e che però è stato capace di riportare dall’India e liberare i fucilieri di marina accusati di omicidio, anche se aspettavano in ambasciata e non in una cella ammanettati. Per Ilaria Salis invece i nostri sovranisti non sanno fare altro che affidarsi ai ricatti e alle convenienze dell’amico Orbán. Tocca sperare in lui.