A Roma si «bonificano» i rom
Diritti Evacuato, senza alternative per gli abitanti, un insediamento informale nell’area Fosso di Sant'Agnese. «L'operazione "decoro" di Raggi non conosce tregua neanche sotto emergenza Covid», attacca Carlo Stasolla, presidente dell'associazione 21 Luglio. Intanto nell'area del Foro Italico, sgomberata ad agosto, il comune ha lasciato una discarica. Mentre le proposte di cittadini e realtà sociali per il superamento dei campi rimangono inascoltate
Diritti Evacuato, senza alternative per gli abitanti, un insediamento informale nell’area Fosso di Sant'Agnese. «L'operazione "decoro" di Raggi non conosce tregua neanche sotto emergenza Covid», attacca Carlo Stasolla, presidente dell'associazione 21 Luglio. Intanto nell'area del Foro Italico, sgomberata ad agosto, il comune ha lasciato una discarica. Mentre le proposte di cittadini e realtà sociali per il superamento dei campi rimangono inascoltate
«Questa mattina operazione di bonifica di un insediamento rom abusivo nell’area Fosso di Sant’Agnese, nel Municipio III», ha esultato ieri su Twitter la sindaca di Roma Virginia Raggi. L’azione di forza è stata condotta dalla polizia di Stato e dai vigili di Roma Capitale. Non si conosce ancora il numero esatto delle persone coinvolte.
«L’operazione “decoro” di Raggi non conosce tregua neanche sotto emergenza Covid – attacca Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 Luglio – Evidentemente per questa amministrazione quando si parla di rom lo sgombero diventa una “bonifica”. Uno scivolamento semantico di questa misura la dice tutta sul livello deumanizzante della prima cittadina davanti alle baraccopoli romane».
Per l’associazione, che si batte da anni al fianco dei rom della capitale, questo ennesimo sgombero viola l’articolo 103 del decreto-legge del 17 marzo 2020 che dispone la sospensione dei «provvedimenti di rilascio degli immobili» fino al 30 giugno (termine prorogato con il «decreto rilancio» al 31 dicembre).
Anche il presidente del III municipio Giovanni Caudo, eletto con una coalizione di centro-sinistra, ha ringraziato le forze dell’ordine «per l’intervento di bonifica e sgombero», ma poi se l’è presa con Raggi. «La prima cittadina sembra impegnarsi a risolvere problemi che lei stessa ha creato», afferma Caudo. Secondo il minisindaco «molte delle persone che si trovavano a vivere in condizioni di disagio in quest’area provenivano dal campo rom lungo la via Olimpica sgomberato l’estate scorsa senza criterio». Il riferimento è a quanto accaduto l’11 agosto, quando ruspe e vigili sono entrati nell’area di via del Foro Italico 531.
Venti giorni dopo, il 31 dello stesso mese, Caudo scriveva a prefetto, questore e sindaca chiedendo un «intervento per riportare condizioni di sicurezza per la popolazione, venute a mancare a seguito della presenza di diffusi insediamenti provvisori lungo l’Aniene». Lo sgombero del campo aveva comportato «la diffusione di donne e bambini accampati alla bene e meglio in situazioni di fortuna insostenibili in un contesto civile».
Dalla 21 Luglio smentiscono che nell’insediamento informale colpito oggi al Fosso di Sant’Agnese ci sia stato un aumento di presenze in seguito allo sgombero del campo del Foro Italico. In ogni caso è utile riavvolgere il nastro di quella vicenda. Anche in quel caso si parlò di bonifica, ma con un paradosso: lo sgombero doveva servire a ripulire una discarica, invece ne ha creata un’altra.
DISCARICHE VECCHIE E NUOVE
Lamiere accartocciate, pareti di legno distrutte, pavimenti con mattonelle ma senza più muri, e poi materassi, porte, finestre, vetri. Un rivolo d’acqua sgorga da un tombino e crea un fiumiciattolo. Due persone arrampicate su ciò che resta di una baracca tentano di ricavarne qualcosa. «Aò, pijo questo o quello?», la parlata non lascia dubbi sull’«etnia». Si presenta così l’ex campo rom di via del Foro Italico 531: dove c’erano casette auto-costruite sono rimasti cumuli di macerie.
L’insediamento era di quelli «tollerati» e insisteva sull’area da 30 anni. La tolleranza dell’amministrazione capitolina è finita dopo un servizio de Le Iene andato in onda il 2 giugno. Le immagini mostravano un grande ammasso di rifiuti tra il campo e il vicino fiume Tevere. Le foto della spazzatura sono state consegnate alla sindaca Virginia Raggi davanti alle telecamere Mediaset. La prima cittadina ha reagito esprimendo l’intenzione di fare pulizia. E pulizia è stata fatta, giusto 24 ore dopo l’annuncio della sua ricandidatura alla guida della città eterna.
Le ruspe sono entrate nel campo e hanno distrutto le abitazioni. Nei giorni seguenti il Comune di Roma ha avviato la bonifica della discarica situata alle spalle. A metà settembre la rimozione dei rifiuti procedeva: un grande macchinario giallo dell’Ama li caricava in container che i camion portavano via. La bonifica, però, si è interrotta prima della fine. Al momento i lavori sono fermi. Risultato: una parte della vecchia discarica è ancora lì; le macerie delle case ne hanno creata una nuova. Nel frattempo i rom sono finiti per strada.
«La maggior parte delle volte il comune sgombera ma non si occupa di fare la bonifica, lasciando i territori ancora più degradati. Un disastro dal punto ambientale», afferma Maurizio Gubbiotti, presidente di Roma Natura. L’ente di tutela del patrimonio paesaggistico e naturale è stato tirato in ballo da Le Iene, ma l’area non si trova all’interno della riserva naturale Valle dell’Aniene come riferito dal programma. La competenza è del comune.
«I lavori sono solo in standby, anche in attesa delle disposizioni dei prossimi Dpcm – fanno sapere dal Campidoglio – La prima tranche di fondi è terminata ma verranno stanziati di nuovo e la bonifica ricomincerà sicuramente. Ma non sappiamo ancora quando. Dipende anche da come evolverà la situazione epidemiologica». Mentre per la rimozione delle macerie si attende l’evoluzione di Dpcm e pandemia, per quella dei rom ci sono state molte meno preoccupazioni. Sia dal punto di vista legale, sia da quello sanitario.
La prima ondata ha miracolosamente risparmiato i campi: nonostante la forte precarietà igienica e abitativa, negli insediamenti le persone hanno accesso all’acqua e possono contare su forme di sostegno comunitario. Gli sgomberi senza alternative cancellano in un colpo solo queste possibilità.
In via del Foro Italico l’ultimo censimento aveva rilevato 129 persone (ma ad aprile erano il doppio). Quando sono arrivati vigili e ruspe ne hanno trovate 12. Le altre si erano già sparpagliate dentro e oltre la città. Qualche famiglia ha costruito una baracca fuori dal raccordo, qualcun’altra si è accampata sul vicino Monte Antenne, a Villa Ada o nell’area del Sacco Pastore.
DIETRO I NUMERI
Dopo ogni sgombero forze di polizia e istituzioni politiche forniscono motivazioni ufficiali e numeri precisi. Nascondono così le storie singolari dei dannati della metropoli. Giuliana è una delle 12 persone che l’11 agosto ha atteso l’arrivo dei vigili e delle ruspe al campo. Ha due figli piccoli e in quel momento non sapeva dove andare.
Al campo ci era arrivata molto piccola, all’inizio degli anni ’90. Ci viveva da quasi 30 anni. Durante le operazioni di sgombero è stata censita per l’ennesima volta. Ha atteso un mese insieme ad altre donne in una delle tre baracche che erano rimaste in piedi. Poi è arrivata la proposta dei servizi sociali capitolini: un appartamento a Ostia da condividere con altre persone che abitavano nell’insediamento (ma non con il marito, che non era stato registrato il giorno dell’azione di forza).
«Ho provato a trasferirmi sul litorale, ma era impossibile andare e venire ogni giorno. I bambini frequentano una scuola nel quartiere in cui si trovava il campo. Negli istituti di Ostia mi hanno detto che non c’era posto. A Roma, poi, ho trovato dei lavoretti saltuari che mi permettono di sopravvivere. Alla fine me ne sono andata dopo pochi giorni, mi avrebbero comunque cacciata perché non ho i soldi per pagare le bollette», racconta Giuliana. Subito dopo ha occupato una casa abbandonata, vicino alla scuola dei figli. In pochi giorni sono arrivati i vigili e l’hanno cacciata anche da là. Al momento dorme in macchina.
Al campo Giuliana si era costruita una vita: aveva una casa e un lavoro stabile. Durante lo sgombero era arrabbiata e ha rilasciato un’intervista. L’anziana a cui faceva da badante l’ha riconosciuta in Tv, ha capito che era una rom e l’ha licenziata. «Lo sgombero mi ha rovinato la vita», ripete scuotendo la testa. Vorrebbe tornare al campo. «La puliamo noi la discarica, piano piano, siamo diverse famiglie», afferma.
SUPERARE I CAMPI
Intanto il braccio di ferro intorno alle vite dei rom si è spostato sul settore F del campo di Castel Romano. L’area, collocata nella riserva naturale di Decima Malafede, è sotto sequestro da luglio per reati ambientali. Lo sgombero dei 96 abitanti era programmato per il 10 settembre. Grazie alla loro mobilitazione e alle pressioni delle associazioni l’atto di forza è stato rimandato. La vicenda è finita nel radar dell’unità anti-discriminazioni della Commissione europea, che ha chiesto precisazioni al comune, e dell’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali (Unar), che il 21 ottobre ha comunicato di aver ricevuto dal Gabinetto di Raggi una rassicurazione circa «il non luogo a procedere dello sgombero». L’indiscrezione è stata rapidamente smentita dal Campidoglio. Ma tutto lascia pensare che per il momento non succederà nulla.
L’opposizione agli sgomberi non va fraintesa con la difesa dei campi. Lo confermano le tante prese di parola degli abitanti delle baraccopoli e le proposte che vengono dal mondo dell’associazionismo. Alla delibera di iniziativa popolare «Accogliamoci» presentata in Campidoglio il 15 ottobre, e sostenuta da 6mila firme di cittadini e da una coalizione di realtà sociali (A Buon Diritto, Radicali Roma, Associazione 21 Luglio, Arci, Cild, Possibile, Un ponte per, Zalab e Asgi), si affianca la rivendicazione della 21 Luglio.
L’associazione chiede alla sindaca di superare i campi usando la quota di abitazioni di edilizia residenziale pubblica, il 15% nel Lazio, che è possibile destinare a chi versa in condizioni di estrema fragilità. Del resto la maggior parte delle famiglie rom sono già inserite da tempo nelle lunghe liste per l’alloggio popolare. Questa strada è stata percorsa a Ferrara da Alan Fabbri, sindaco leghista.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento