Si chiamava ZunZuneo, con un gioco di parole riferito al verso del colibrì (zunzun, a Cuba). Un programma clandestino, simile al Twitter, promosso dagli Stati uniti tramite l’Agenzia per lo sviluppo internazionale (Usaid, un’organizzazione che dipende dal Dipartimento di Stato) e destinato a fomentare il malcontento contro il governo cubano.

Secondo quanto ha rivelato Associated Press, la rete sociale è rimasta attiva per tre anni, dal 2009 al 2012, quando sono venuti a mancare i fondi e ha registrato 40mila iscritti, specie giovani. Ignari utenti credevano di scambiarsi messaggi gratuiti su calcio, musica e invece erano monitorati da un sistema occulto gestito dagli Usa attraverso un giro di imprese fantasma con i conti nei paradisi fiscali. Quando l’afflusso raggiungeva le centomila persone, cominciavano ad arrivare i messaggi di contenuto politico: per creare in rete «moltitudini pensanti», in grado di convocare manifestazioni per una «primavera cubana», o almeno per «rinegoziare l’equilibrio di potere tra lo stato e la società» (come spiega uno dei documenti dell’Usaid).

Un sistema – secondo l’agenzia Usa – che ha funzionato egregiamente in altre situazioni, provocando rivolte politiche organizzate in rete in Iran, in Moldavia, o in Medioriente. Dall’estero, la rete ideata dal Pentagono ha creato un portale di internet parallelo al servizio di messaggi di testo, in modo che i cubani potessero iscriversi e comunicare fra loro, gratis. Per accrescere la credibilità, l’Usaid suggeriva di apporre anche pubblicità fittizie di un’impresa commerciale. Va da sé che i numeri di cellulari degli utenti siano stati carpiti in modo illegale. Un’idea messa in moto nel 2010 da Jos McSpedon, funzionario del governo degli Stati uniti, che ha riunito una squadra di contractor provenienti dal Costa Rica, dal Nicaragua, da Washington e da Denver.

Il gruppo ha cominciato a operare dal Centroamerica, suscitando qualche allarme nel Congresso, già nel 2009, per le «possibili conseguenze diplomatiche». Una preoccupazione più evidente dopo l’arresto all’Avana del contractor Usa, Alan Gross, in possesso di attrezzature tecnologiche clandestine. Gli Usa hanno sempre negato che Gross sia un uomo della Cia, e finora sono rimasti sordi alle richieste del governo cubano, che vorrebbe scambiarlo con tre suoi agenti, prigionieri nelle carceri Usa (quel che resta in carcere dei Cinque). Qualche anno fa, un gruppo di cubani, che era riuscito a infiltrarsi nella Cia, ha svelato in dettaglio i piani del Pentagono per influenzare l’opinione dei giovani usando le nuove tecnologie.

Raul Capote, un noto scrittore contattato per questo dalla Cia, ha raccontato in un libro e al manifesto i piani della funzionaria Kelly Keiderling, recentemente espulsa da Caracas con l’accusa di aver fomentato in Venezuela analoghi piani eversivi. Secondo Capote, «le ingerenze di Washington mirano a influenzare il consenso soprattutto attraverso le nuove tecnologie». Per il governo di Raul Castro, si tratta «dell’ennesima dimostrazione che gli Usa non hanno rinunciato ai loro piani sovversivi contro Cuba». Washington ha confermato l’esistenza del programma, ma ha affermato che si tratta di «aiuti allo sviluppo».

Un’operazione occulta come le tante finanziate dal Pentagono tramite le sue agenzie? Neanche per sogno – ha smentito il portavoce della Casa bianca, Jay Carney – solo un progetto «destinato ad aiutare le comunicazioni nella società civile cubana». Un progetto finanziato con 1,2 milioni di dollari.