Alla fine la dissidenza interna all’African national congress c’è stata, ma non in misura tale da consentire alle opposizioni di mandare a casa Jacob Zuma prima del termine del suo mandato. 198 voti contro 177, il presidente sudafricano esce così indenne per l’ennesima volta da un voto di sfiducia in parlamento. Scoglio reso ieri più insidioso del solito dalla decisione di sottopporre la mozione a scrutinio segreto.

Dopo lo scandalo della villa ristruttuta con i soldi pubblici e quello dei legami d’affari con la potente famiglia Gupta, ai vertici del capitalismo sudafricano, la questione stavolta riguardava il modo con cui Zuma aveva silurato il ministro delle Finanze, Pravin Gordhan, esponendo l’economia mia nazionale al tracollo pur di non rinunciare alle trame per spianare la strada alla ex moglie Nkosazana Dlamini-Zuma, fino allo scorso anno presidente della Commissione dell’Unione africana, in vista della sua successione.

Alla Democratic Alliance, principale partito di opposizione, con cui era schierato tra gli altri l’Eff (Economic Freedom Fighters) di Julius Malema, servivano 50 franchi tiratori decisi a liberarsi di un leader sempre più ingombrante. I 26 che fatti i conti dovrebbero aver votato contro Zuma malgrado gli accorati appelli dei dirigenti Anc e le minacce di espulsione, segnalano comunque la peggior crisi interna che il partito di Mandela deve affrontare dalla fine dell’apartheid. m. bo.