Si è aperta ieri a Johannesburg la 54ma Conferenza nazionale dell’African national congress, da cui dovrà uscire il successore di Jacob Zuma alla guida del partito e presumibilmente del paese. Oltre a una strategia per arginare l’emorragia di consensi senza precedenti che è in corso e di lanciare il partito che fu di Nelson Mandela verso le elezioni del 2019.

«La nostra gente è frustrata – ha riconosciuto Zuma nel suo ultimo discorso da presidente – nel vedere che dedichiamo più tempo a litigare tra noi che a risolvere le sfide quotidiane che la popolazione deve affrontare». Un classico invito all’unità e a  fermare le faide interne. Zuma ha anche accennato alla scoppola subita alle elezioni locali dello scorso anno, quando il partito ha perso la capitale Pretoria e Johannesburg, la prima città del paese: «Deve essere un severo promemoria, ci ricorda che i sudafricani non sono contenti di noi», ha aggiunto il leader 75enne, che potrà restare presidente del paese fino alla scadenza del suo secondo mandato, nel 2019. Da tempo Zuma è inseguito da accuse di corruzione – non è mancato nel discorso di ieri un attacco a magistratura e media – ed è già scampato in parlamento a diversi voti di sfiducia.

La scelta a cui sono chiamati circa 5 mila delegati provenienti da tutto il paese è tra l’attuale vicepresidente Cyril Ramaphosa e l’ex moglie di Zuma, Nkosazana Dlamini-Zuma. 68 anni, ex ministro ed ex presidente della Commissione dell’Unione africana,  è una veterana della politica sospinta dalla Lega femminile del partito e dallo stesso Zuma. Il poligamo Zuma, che ha esaltato il nuovo ruolo delle donne – erano tre le candidate alla presidenza – nell’Anc.

Appoggiato dai poteri forti dell’economia sudafricana e dato avanti dai sondaggi, Ramaphosa, 65 anni, ha fama di grande stratega con un solido background sindacale. Pesa sul suo curriculum non tanto il fatto di essere un businessman spregiudicato, con interessi in diversi settori  (fin qui non è però mai stato sfiorato dalle inchieste), quanto il ruolo nefasto, da lui stesso riconosciuto in seguito, che ha avuto nel Massacro di Marikana, quando le forze di sicurezza spararono sui minatori in sciopero della Lonmin, multinazionale del platino che vede lo stesso Ramaphosa sedere nel suo cda. Con 34 morti e 78 feriti, è la strage di piazza più grave commessa in Sudafrica dai tempi di Sharpeville, 1960.

Non tutti però potranno esprimere oggi la loro preferenza: a un centinaio di quadri locali del KwaZulu-Natal e del Free State è stato ritirato il diritto di voto dopo le sentenze che hanno dichiarato illegittimi i vertici del partito in questi stati. Sono voti che verranno a mancare a NDZ, ma qui gli analisti si dividono tra chi sostiene che non saranno decisivi e chi invece prevede una sfida equilibrata, dunque una battaglia in cui ogni voto avrà alla fine il suo peso. I risultati sono attesi già per oggi.