Non ricorderemo Franca Rame solo come la moglie di Dario Fo, anche se quella “coppia aperta, quasi spalancata” è stata in teatro una delle più longeve delle nostre scene, da quei lontani anni 50 del loro incontro subito teatrale. E quanto teatro hanno traversato insieme, dagli anni anarchici e grotteschi di quelle bellissime farse dai titoli indimenticabili, metti Chi ruba un piede è fortunato in amore o Settimo, ruba un po’ meno, lei bellissima e spiritosa, lui con quella faccia un po’ così, da svitato, entrambi non a caso censuratissimi nella televisione democristiana; a quelli solo apparentemente più politici di Nuova scena e della Comune, quando ogni spettacolo diventava un po’ un happening. Girando fra Case del popolo e palazzetti dello sport sempre pienissimi di ragazzi e non solo, quelli che qualche anno dopo avrebbe raccontato benissimo Nanni Moretti, autarchici e già un po’ disillusi.

 

E con quanto divertimento, mica le tetraggini del cosiddetto teatro politico. E si pagava volentieri il prezzo dell’immancabile sottoscrizione, di qualche causa da finanziare, dei bicchieri da comprare per sostenere una fabbrica occupata. Perché non erano soli, e questo contava. Si sentiva nell’aria. C’era il Living di Beck e Malina che spingeva il pubblico a uscire dai teatri e lo portava per le piazze e i luoghi dell’istituzione negata. E Carmelo Bene che buttava via il monologo di Amleto. E Leo e Perla che se ne scendevano a Marigliano per vedere cosa succedeva a mettere insieme Shakespeare e sceneggiata. È che non c’era distanza fra la Franca e Franco Basaglia, voglio dire che si percepiva un sentimento non di contiguità ma di continuità.

 

Era la stessa lotta, lo stesso tentativo di dare compimento a quel che appunto era nell’aria. Lo spirito del ’68, del maggio francese dei teatri occupati, fra rivolta e rivoluzione, ma da noi bisognava tornare indietro di qualche anno se si voleva capire qualcosa, a quell’estate del ’60 quando altri ragazzi avevano cancellato per sempre (sembrava) certe tentazioni autoritarie. Ma Franca in teatro c’era nata e fino all’ultimo ne ha sentito la nostalgia. E così noi di lei, di quella sua sfrontata leggerezza che sapeva di attori girovaghi, di un teatro fatto all’impronta, capace di meditata improvvisazione. Capocomica per imprinting familiare, se è vero che venivano giù dai comici dell’arte: e Fo sarebbe stato buon erede, con quel Mistero buffo che si è visto chissà quante volte e sembrava sempre diverso, forse lo era. Poi, certo, c’è stata la donna impegnata nelle lotte delle donne e per una società meno diseguale, capace di raccontare a tutti cos’è uno stupro.

 

A un certo punto persino senatrice della Repubblica. Anche lì capace a un certo punto di dire no, per non essere complice del finanziamento di missioni belliche di cui troppi hanno finto di non vedere la contraddizione violenta con quel ripudio della guerra che pure è uno dei cardini della nostra Costituzione. Ecco, in un momento in cui è vera emergenza la difesa della nostra Costituzione democratica, piace ricordarla anche così.