I morti non muoiono: il settantaduesimo festival di Cannes ha srotolato il tappeto con un titolo che sa di Trono di spade. È vero che da sempre il cinema è l’arte di esseri né vivi né morti, impressi per sempre come ectoplasmi sulla celluloide. Il destino di ogni cineasta è dunque di creare dei non morti. E infine di diventarne uno. Varda capeggia quest’anno sulla Croisette, non morta e rampante sulla schiena di un operatore, inquadrando dall’alto il mondo fuori campo. Sabato scorso, è diventato non morto un cineasta meno noto ma non meno importante. Jean-Claude Brisseau aveva cominciato a girare negli anni sessanta, aiutato da Rohmer. Dopo alcuni successi e varie sventure, nel 2012 aveva conquistato tutti a Locarno con La fille de nulle part: uno splendido racconto di filosofia «dans le boudoir». Per la Croisette, la figura di Brisseau è senza dubbio ingombrante, ma noi che sfondiamo muri avremo modo di ricordarlo come si deve al lettore italiano.

ANCHE VOLENDOSI concentrare sui vivi, continueremo a parlare di zombie. Bertrand Bonello dopo due film in competizione ufficiale, il fortunato Saint Laurent e il difficile Nocturama ha deciso di fare un film dall’economia più modesta (ed è stato retrocesso alla Quinzaine). Si tratta in realtà di un vecchio progetto, due parole annotate su un taccuino alcuni anni fa: «Haiti, zombi». Zombi Child è costato solo 1,5 milioni e girato con l’arte della serie B, vale a dire con un piano di lavorazione studiato al millimetro, tanto che al montaggio sono avanzate solo 3 inquadrature. Sempre alla Quinzaine il cineasta franco-americano Lech Kowalski porta un bel film sulle lotte di una classe operaia che tutti danno per morta, ma che a quanto pare ancora esiste, e nella quale Kowalski si è immerso (fino a farsi arrestare). Il suo film si chiama On va tout peter, faremo scoppiare tutto.

ANCORA dalla parte della Quinzaine, teniamo d’occhio due autori. Rebecca Zlotowski, con Une fille facile (Una ragazza facile), sembra ritornare ai temi e alla taglia del film che l’aveva lanciata: Belle Epine. Benoit Forgeard è uno scrittore e un critico abile e creativo. Come cineasta aveva fatto parlare di sé, all’Acid, con un piccolo colpo di genio: Gaz de France. Torna a Cannes con Yves dove ritrova nel ruolo principale l’istrionico cantante e attore Philippe Katrine.
L’Acid, la selezione più underground e meno glamour di Cannes, è in effetti quella dalla quale emergono i futuri volti del cinema francese: quest’anno i lungometraggi selezionati sono nove, tra cui sette primi film. Quanto alla Competizione ufficiale, è più che mai francofona. Sono soprattutto le autrici francesi, come Céline Sciamma (Portrait de la jeune fille en feu) e Mati Diop (Atlantique) o ancora Justine Triet (Sybil) a portare un po’ di novità sul tappeto rosso di un concorso per altro stantio. Qualcuno ricorderà Mati Diop attrice, splendida nel film di Claire Denis 35 rhums. Negli ultimi anni ha regalato alcuni medio metraggi di valore, tra i quali il bellissimo Mille soleils. Céline Sciamma si è imposta alla Quinzaine ed è ormai una figura centrale del nuovo cinema francese.

COSÌ come Justine Triet, che, dopo aver sfondato con la Bataille de Solferino, è oggi al suo terzo lungometraggio. Per decenni Cannes è stata la spiaggia europea del cinema americano. Da alcuni anni, ha perso questa funzione, concentrandosi nuovamente sul cinema nazionale – la scomparsa di Pierre Rissien, nel 2018, ha lasciato un vuoto di programmazione che nessuno ha colmato. Alle volte, anche i morti muoiono.