I  jeans li chiamavamo blue jeans e potevamo comprarli di lunedì o di venerdì. Solo in quei giorni i venditori di stoffe, calzature e vestiario apprestavano il mercato ambulante in uno slargo centrale della città. Agganciati a delle aste di ferro, penzolavano sulle bancarelle per essere confrontati e scelti fra le tre-quattro marche esistenti. Tutti impunturati e incernierati, si diversificavano per il numero di tasche: più ne avevano e più se ne vendevano, a 1200-1300 lire. Ideati come calzoni da lavoro, sul fianco destro di qualche modello era applicato un tascone lungo e stretto per inserire il metro pieghevole da muratore. Ma per noi i blue jeans erano la bandiera dei giovanotti sfaccendati, stregati dagli eroi dei film americani che l’indossavano col giubbotto montando sulle motociclette. Fino ai vent’anni. Dopo, volatasene l’età fatua, ci si vestiva da adulti. Troppo dozzinali quei pantaloni di tela grezza e grossa per essere messi in vendita nei negozi, dove peraltro gli indumenti confezionati erano una rarità. Se tra i mestieri risultava trainante quello del sarto, nelle case era la macchina per il cucito l’elettrodomestico che dava parvenza di modernità. E a essa si ricorreva per le modifiche su quei calzoni: due cerniere possibilmente bianche da cucire ai lati, dopo averli tagliati. Si ricavavano così degli spacchetti la cui apertura era regolata dalle lampo per farli scendere stretti sulle scarpe, a sigaretta, o larghi, alla messicana. In realtà, mettendoli da primavera inoltrata fino a tutta l’estate, le scarpe venivano accantonate, lasciando che il piede nudo infilasse gli zoccoli. Zoccoli di legno con striscia di cuoio, maglietta a girocollo, blue jeans e cintura chiusa da un fibbione in metallo con rilievo di pellerossa piumato: questa la tenuta abituale, sia che si uscisse in città sia che si andasse al mare. Sulla spiaggia, a torso nudo ma coi blue jeans incollati sulla pelle, prendevamo a calci il pallone per improbabili partite fra gli ombrelloni. Ci restavano addosso pure fra le mura domestiche, arse a 40 gradi di calore. Insomma, non li toglievamo mai ed era l’uso a scolorirli. Mettendoli ogni giorno non bastava una sola stagione, ma strofinandovi una pietra porosa o la carta vetrata, sul davanti e sui tasconi posteriori, l’effetto del vissuto era pressoché immediato. Avevano vita lunghissima e risultava difficile che si logorassero al punto da buttarli. Perciò si tramandavano nella cerchia parentale: il fratello o il cugino maggiorenni mutavano fisicamente, magari irrobustendosi, e allora passavano al più piccolo che se li ritrovava usurati ma ancora integri. Tanto ambiti dai giovanissimi quanto malvisti dagli adulti. Per i quali era sconveniente l’immagine di un quarantenne padre di famiglia, già persona matura, con i blue jeans.