«Sono partiti i cori da stadio delle due fazioni di tifosi qui in plenaria a Strasburgo», commenta Ignazio Corrao, eurodeputato del Movimento 5 Stelle, a proposito della seduta plenaria che a Strasburgo discute della applicazione delle sanzioni contro l’Ungheria.

È L’UNICO DELLA PATTUGLIA a 5 Stelle a commentare la vicenda: tutto il M5S tiene un profilo basso e non interviene in aula. Così, mentre la capogruppo leghista Mara Bizzotto si stringe a Viktor Orbán e dice «questa Europa va cambiata e noi la cambieremo da cima a fondo», gli europarlamentari grillini non entrano nel merito.

Ciò accade nonostante i 5S abbiano deciso di restare coerente al voto già espresso in commissione diritti civili e di approvare il report sulle violazioni dello stato di diritto in Ungheria. L’imbarazzo è dovuto al fatto che per l’ennesima volta lo scenario continentale per il M5S diventa il collo sottile dentro al quale passano i grossi rospi della politica nazionale. Non è un mistero che parte del M5S in passato abbia avuto una vera e propria fascinazione per Orbán, come testimonia un testo a favore dell’ungherese apparso sul blog di Beppe Grillo nel 2015 e come confermano i commenti non entusiasti della base grillina quando viene comunicata la decisione di votare le sanzioni. A Strasburgo casca l’asino, come accadde agli albori di questa legislatura, quando gli eletti dovettero accettare di allearsi con Nigel Farage.

O come nelle giornate del rocambolesco tentativo di approdare nel gruppo dei liberali dell’Alde. «La relazione della europarlamentare olandese Sargentini denuncia alcuni dati di fatto che non possono essere ignorati – spiegano i 5 Stelle da Strasburgo – Diritti costituzionali messi a repentaglio, indipendenza della magistratura compromessa, diritti delle minoranze calpestati, corruzione endemica dell’amministrazione, conflitti di interessi di componenti del governo».

I GRILLINI CERCANO in tutti i modi di evitare proiezioni nazionali del voto. Nel giorno in cui il centrodestra italiano si ritrova unito al fianco del leader ungherese, cercano comunque di esprimere una posizione che li distingua dagli altri gruppi.

Per questo, la parlamentare europea Laura Agea precisa che il report sullo stato di diritto dell’Ungheria «non è una materia inserita nel contratto di governo Lega-M5S» e ribadisce che «il governo Lega-5 Stelle sta procedendo a passi spediti ed efficaci laddove c’erano dei punti estremamente importanti che già sono stati realizzati e che andranno avanti con le priorità per i prossimi mesi ». Però Orbán nella sua replica in aula non perde occasione per rinnovare la sua stima per il governo gialloverde: «Sulla migrazione sono disposto a cooperare con qualsiasi governo che voglia difendere le frontiere, non è per me una questione partitica, e devo dire che mi tolgo il cappello di fronte agli italiani per il coraggio che stanno avendo e hanno avuto per quanto hanno fatto». Il comunicato congiunto di tutto il gruppo M5S giustifica il voto contro l’Ungheria proprio in virtù degli impegni sui migranti sottoscritti con la Lega: «Nostro obiettivo è arrivare a sbarchi zero, come è scritto nell’accordo per il governo del cambiamento.

MA NEL FRATTEMPO I BARCONI arrivano e noi spendiamo quattro miliardi l’anno per affrontare da soli l’emergenza migranti. Orbán finora con il suo no ai ricollocamenti ha in maniera chiara voltato le spalle al nostro paese. Lui, così come tutti quelli che chiudono i porti o non accettano i ricollocamenti, per noi uguali sono».

Dunque, Orbán per il Movimento 5 Stelle è paragonabile Macron o Merkel. In serata Matteo Salvini ripropone la similitudine quando afferma a proposito della ricollocazione dei migranti: «L’Ungheria doveva prendere 300 persone, ma Orbán almeno non viene a darmi lezioni. A Macron, invece, dico di aprire a Ventimiglia». Proprio un paio di settimane fa Di Maio aveva detto che dopo le elezioni europee di primavera l’Europa che conosciamo non ci sarà più e tutto sarà diverso per il governo gialloverde. Paiono lontani i giorni in cui i grillini sembravano aver scelto proprio Macron come riferimento europeo e puntavano a fare gruppo dopo il voto di primavera proprio con l’aggregato post-ideologico del presidente francese.