«Le primarie si faranno nel 2023». L’annuncio di Nicola Zingaretti arriva a sorpresa, senza troppa enfasi, quasi un inciso nelle conclusioni di una lunghissima direzione che si è aperta giovedì scorso ed è finita ieri sera. Argomento ufficiale: la parità di genere. Ma fatalmente l’attualità politica (e cioè la battaglia dentro il partito) ha prevalso.

DUNQUE ZINGARETTI ha deciso di andare avanti, e di sfidare i suoi avversari interni a colpi di ultimatum: «Dobbiamo ritrovare un equilibrio, altrimenti è in discussione il progetto politico».  ancora: «Non possiamo vivere i prossimi mesi implosi in una discussione interna, non lo potrò mai accettare». Sì dunque a una discussione sull’identità del Pd che partirà con l’assemblea del 13 e 14 marzo, «un dibattito che deve essere libero ma con la responsabilità di un destino comune». «Vedremo se ci riusciremo», sospira il segretario, «dobbiamo verificare in assemblea».

L’IDEA È QUELLA di un congresso per tesi da fare in autunno, ma senza mettere in discussione la leadership. Ma dovrà essere una discussione «con delle regole», non lo stillicidio quotidiano contro la segreteria. «Siamo tutti ex di qualcosa, nessuno chiede abiure», l’appello di Zingaretti alla minoranza ex renziana. «Ma serve rispetto e non caricature».

E cita alcuni temi. «Difendendo Conte abbiamo difeso anche il nostro lavoro al governi, i nostri ministri. Perché vergognarsi? Perché dovremmo noi presentarci col capo cosparso di cenere quando, con Draghi, la Lega ha dovuto rinnegare se stessa mentre noi abbiamo tenuto il timone dritto sull’europeismo?».

E ancora: «La vocazione maggioritaria è stata uccisa nel 2018 (con Renzi, ndr), quando abbiamo perso la bussola nel settarismo. Oggi dopo due anni abbiamo un Pd forte e autonomo, capace di fare alleanze competitive». Tutti i temi che dividono il segretario dagli ex renziani vengono messi sul piatto.

MA È SULLA DATA DELLE PRIMARIE che lo scontro si accende. «Rischiamo di essere in un’altra era politica», attacca Base Riformista, l’area di Guerini. «Restiamo convinti che vada aperta una discussione profonda di rango congressuale sull’identità del Pd». Matteo Orfini è ancora più duro: «Chiedere di fare un congresso ora è da marziani, ma lo è anche dire che faremo le primarie nel 2023. Ed è anche una incredibile scorrettezza che sono certo Zingaretti vorrà immediatamente correggere».

Nessuna correzione in vista, anzi: dopo giorni di riflessione il segretario ha deciso di passare al contrattacco. La faglia però resta ed è tutta politica: da una parte l’ala Zingaretti-Bettini-Orlando che punta ad una svolta a sinistra, in collegamento con Leu e il M5S. «Si tratta di capire cosa deve diventare il partito del futuro, se un corpaccione centrista, o ricostruire una forza di cambiamento per riformare il capitalismo», osserva Bettini.

Orlando, parafulmine di tanti malumori, e sotto attacco con la richiesta di dimissioni da vicesegretario, spiega che «toccherà a noi decidere dove spostare la coperta che è sempre troppo corta». Tradotto: quali categorie sociali rappresentare . E si difende: «Il segretario ha ritenuto che questo assetto (ministro e vice contemporaneamente, ndr) sia funzionale in questa fase. Non ho mai anteposto i destini personali».

ALLA FINE SI VOTA (all’unanimità) un lungo ordine del giorno (a firma Cecilia D’Elia) che impegna il Pd sulla parità di genere a tutti i livelli, compresa la squadra di governo, e la nomina di una vicesegretaria, con un accenno ai due gruppi parlamentari per avere un uomo e una donna ai vertici, come proposto da Monica Cirinnà (Laura Boldrini suggerisce una «rotazione»).

L’odg di Giuditta Pini e di Enza Bruno Bossio che chiedeva che la vice donna fosse anche «vicaria» del segretario non viene ammesso. Loro chiedono di parlare, la presidente Valentina Cuppi dice no: «Mi è stata tolta la parola. Bella questa gestione unitaria», protesta Pini. Il clima non è tranquillo. Anzi. In vista dell’assemblea, Base riformista che si riunisce oggi lascia chiede una sua vicesegretaria, il segnale chiesto da Guerini per «una gestione realmente collegiale» e dunque una vera tregua. Ma Zingaretti sembra orientato a nominare Cecilia D’Elia, a lui molto vicina.