«Di Maio? Non mi fa piacere se lascia la guida del M5s. Abbiamo preso un impegno anche tra persone che rispettiamo, ora dobbiamo abbassare la polemica politica e accentuare l’impegno per raggiungere i risultati». Nicola Zingaretti sta registrando Porta a porta quando riceve, inaggirabile, la domanda su quelle che fino a quel momento sono voci insistenti sulle prossime dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico. Il leader Pd, da sempre il leader più «responsabile» della maggioranza, si è impegnato con tutte le sue forze nella campagna di Emilia Romagna e Calabria. Giovedì chiuderà nella prima regione, venerdì nella seconda, la sfida più difficile, praticamente data per persa. «Ci ha messo la faccia», spiegano i suoi, contando sulla sua agenda almeno 80 tappe per sostenere Stefano Bonaccini.

Fino a ieri sera il suo principale sforzo era per la vittoria in Emilia Romagna. Ma anche per assicurare che comunque, a prescindere dal voto, il governo sarebbe andato avanti. Perché il tema di un voto con valenza nazionale, aveva spiegato anche ieri mattina, «è usato solo dalle destre per distrarre dalla questione che è al centro di un voto per il presidente».

Questa rassicurazione, del resto, era il vero core business del conclave di Contigliano: preparare le proposte Pd per la verifica di governo, fare passare nei media, nel dibattito politico e – non ultimo – nel senso comune del gruppo dirigente dem l’idea che a prescindere dall’esito del voto di domenica il governo sarebbe andato avanti. Dandosi un programma da proporre alla «verifica». Nell’abbazia in pochi avevano detto apertamente il contrario. Solo il giovane turco Fausto Raciti: «La vera verifica saranno le regionali emiliane». Lo ha fatto una settimana dopo su Repubblica il capogruppo alla camera Graziano Delrio, pur dando per certa la vittoria di Bonaccini: «Se dovessimo perdere, ci sarebbero ovviamente tantissime ripercussioni su tutti i fronti. Non cadrà il governo ma non potremmo di certo far finta di nulla».

Da ieri sera al Nazareno è scattato l’allarme. E se non è rosso, poco ci manca. Sono ormai troppe le questioni che mettono in fibrillazione il governo. Il 27, cioè il giorno dopo le regionali, arriverà in aula la legge Costa, il testo forzista che ripristina la prescrizione abolita dal governo gialloverde; e su questo ieri è arrivata la dissociazione ufficiale di Italia via dal difficile tavolo della maggioranza. Da lunedì in commissione si votano gli emendamenti sul Milleproroghe; ieri la maggioranza ha depositato la reintroduzione della norma sulla cannabis light non ammessa al senato. Iv non è della partita. Presto arriverà al pettine il nodo Autostrade. Di fatto l’accordo sul «cronoprogramma» della fase 2 del governo è ancora un’ipotesi.

Quanto alle opposizioni, la scelta di Salvini di autoconsegnarsi in giudizio sulla vicenda Gregoretti può fare molto male alla maggioranza. Perché, spiega la sondaggista Alessandra Ghisleri alla Stampa, «l’attacco concentrico su un leader lo trasforma in una vittima, gli sviluppa una rete di solidarietà».

Ma a complicare davvero tutto è l’implosione dei 5s: ieri altri due deputati hanno lasciato il gruppo. Circolano voci su altre quattro defezioni. Ora l’eventualità dell’addio anche solo tattico Di Maio, scelta tutta interna alla possibilità di riconquistare lo scettro, rischia di mandare in stallo la navigazione già turbolenta dell’esecutivo. Il leader grillino deve essersi fatto i suoi calcoli. L’eventuale abbandono del vertice M5s prima di domenica gli consentirebbe di non mettere la faccia nella sconfitta che, a prescindere da chi vincerà la presidenza dell’Emilia Romagna, travolgerà comunque i 5s dati in forte calo.

Quanto al suo Pd Zingaretti continua a distribuire dosi di ottimismo e orgoglio: «Siamo gli unici della maggioranza che stanno combattendo con il loro simbolo per vincere». E riguardo alla sua segreteria: «Mi sento un leader che ha fatto di tutto per tirare questa forza politica fuori dal coma in cui era crollata», dice a Vespa.

Tutto vero. Eppure l’Emilia Romagna resta per tutto un punto di non ritorno. Nonostante l’instancabile campagna di Bonaccini e l’iniezione di partecipazione fornita dalle sardine, in realtà la corsa è più difficile di come viene raccontata, anche dai sondaggi. Ieri Lorenzo Pregliasco, dell’agenzia Youtrend, su twitter ha ricapitolato così la situazione del voto emiliano: «Le Regionali sono un’altra partita, ovviamente, ma mi sorprende quanto poco tra gli osservatori ci si renda conto di un dato: sia alle Politiche 2018 sia alle Europee 2019 in Emilia-Romagna ha vinto il centrodestra (33% a 31% e 44% a 40%)».