«Dai territori il segnale è forte: c’è un nuovo bipolarismo. L’alternativa a Salvini è possibile, è rappresentata dal Pd e da un nuovo centrosinistra». Su facebook Nicola Zingaretti gioisce per il l risultato del Pd ai ballottaggi. Non che non veda le «ferite»: le sconfitte di Ferrara, Forlì bruciano, brucia quella di Potenza perché direttamente frutto dell’incapacità del suo partito di unire «il campo: Valerio Tramutoli di Basilicata Possibile ha preso il 27,41 per cento al primo turno a fronte del 18,54 di Bianca Andretta, candidata Pd. La riconquista di Livorno dopo la «parentesi» a 5 stelle non compensa i 41 comuni persi. E i numeri, nella loro implacabile oggettività, parlano chiaro: il Pd amministrava 183 comuni e ora passa a 163; il centrodestra 38, e ora passa a 56.

Nell’Emilia Romagna, che andrà al voto nel prossimo autunno, la Lega cresce: ma per Marina Sereni «il centrosinistra vince nel 75 per cento dei centri al voto. Basta guardare i numeri: il centrosinistra vince in 174 comuni sui 235 al voto. Vinciamo a Modena, Reggio Emilia, Cesena e Carpi. Parlare di Emilia Romagna a trazione leghista è fuori dalla realtà». Allontanato il voto politico anticipato, su cui Zingaretti puntava, la prossima prova saranno le regionali emiliane, calabresi ed umbre. Tre competizioni tutt’altro che facili.

Ma per ora il nuovo leader ha superato la sua prima prova dell’urna. Evitando di esultare troppo, come aveva fatto la notte delle europee, evita anche di provocare la reazione delle minoranze interne. Ma ci pensa il Pd di Campobasso, che ha vinto grazie all’aiutino dell’elettorato M5S: «La chiamata all’antifascismo, al no al razzismo e alla secessione ha funzionato. Siamo stati chiarissimi, altro che inciucio: mai con la Lega. E anche l’elettorato di sinistra del M5S ha capito. Abbiamo fatto capire anche in chiave nazionale che la lezione è questa: si può dialogare con quella parte del M5S in modo unitario su certi temi».

L’ala renziana si riunirà nel week end a Assisi. Base riformista farà la sua assemblea a luglio. Entrambe attaccheranno il segretario e la sua idea di alleanze presuntamente troppo spostate a sinistra. Ma entrambe debbono fare i conti con una novità: domenica Renzi ha annunciato che non uscirà dal Pd. È un «fatto nuovo» con cui anche Zingaretti deve prendere le misure, sin dalla nomina della segreteria, rimandata a dopo il voto ma non più procrastinabile.

Il segretario è convinto che i flussi di voto gli daranno ragione: l’elettorato deluso dal M5s che non si è ritirato nell’astensionismo, nei ballottaggi ha votato 5 stelle. Il no all’alleanza con i grillini resta, ma il quadro si muove: «La strada di un nuovo centrosinistra aperto, civico e plurale è quella su cui investire». Anche il suo ex braccio destro in Regione Lazio Massimiliano Smeriglio, ora eurodeputato, vede concretizzarsi la scommessa della sinistra che si è avvicinata al Pd: «I risultati confermano che quando il campo progressista si presenta come espressione di una coalizione larga, civica e plurale, l’idea su cui abbiamo lavorato con Piazza Grande, vince ed è competitivo». Anche se proprio nel Lazio qualcosa è andato storto: Civitavecchia, Tarquinia, Nettuno, Palestrina e Civita Castellana sono oggi al centrodestra.