«Non cambiano gli equilibri con gli alleati, dobbiamo insieme governare bene e trovare le soluzioni, senza piantare bandierine». Nel pomeriggio, prima di partire per Modena, per la festa di piazza convocata dal neopresidente Stefano Bonaccini, Nicola Zingaretti convoca i cronisti al Nazareno. Per godersi la vittoria, merce rara per il Pd, almeno dal marzo del 2018, la stagione che, aveva spiegato nella notte elettorale «è finalmente chiusa». Ma anche per lanciare qualche messaggio agli alleati. Oltre alla smagliante raccolta di voti di Bonaccini, a sorpresa il Pd si attesta come primo partito in Emilia Romagna e anche in Calabria. E se le elezioni non avevano una valenza politica nazionale, secondo la versione dem, incassata la vittoria ora il riflesso politico nella maggioranza di governo è una tentazione inevitabile. Tanto più se all’altro lato dell’alleanza c’è un movimento 5 stelle in caduta libera e in pieno caos da disgregazione. Zingaretti, fedele al suo stile e al suo personaggio conciliante, assicura che non approfitterà di questa inaspettata posizione di vantaggio. «Il Pd è stato responsabile in questi mesi, qualcuno l’ha chiamata subalternità, una stupidaggine colossale», il riferimento polemico è a Matteo Orfini, leader della minoranza dei giovani turchi. Ma «non userà mai la parola ’imporre’ per gli alleati». Più tardi, da Modena, ribalterà tutte le critiche di questo genere: «Spesso il Pd è accusato di essere poco visibile» e invece è soltanto una «strategia inclusiva, aperta, è la risposta vincente».

Quanto al riflesso sul governo, in realtà il suo vice Andrea Orlando, che al Nazareno davanti ai giornalisti siede alla sua sinistra, in mattinata aveva detto un’altra cosa, all’apparenza diversa se non opposta: «È giusto che oggi si usi questo risultato per modificare l’asse politico del governo su molte questioni. Ad esempio, sulla questione della giustizia da parte del M5s dovrebbe esserci una disponibilità al confronto superiore a quella che c’è stata finora».

Differenze fra i due ci sono, e non da oggi. Ma in questo caso in realtà i due fanno parti complementari. Zingaretti non pianta bandierine ma alla sua maniera chiede al governo, ora che è scampato il pericolo della spallata della Lega, di preparare subito la «fase due». La confusione a casa 5 stelle rischia di rallentare tutto, e invece il Pd «è pronto» ad andare avanti. Ma Zingaretti non vuole tendere la corda. «Noi abbiamo una linea politica che sta portando a grandi risultati e una responsabilità, che è quell’atteggiamento politico che permette all’insieme delle forze di andare avanti», «Dobbiamo andare avanti così e speriamo che tutti siano disponibili a questa fase, che conviene a tutti, come è stato percepito dalla decisione del governo di rendere operativo il taglio delle tasse sugli stipendi e poter dire a 16 milioni di italiani che c’è un grande segnale in controtendenza». Guai a galleggiare, o a tirare a campare. L’agenda del conclave di Contigliano prevede investimenti green, aumento obbligo scolastico, rilancio del digitale, riforma fiscale.

Zingaretti insiste anche sull’«unità» del suo partito e sul fatto che questo lo renda «il pilastro» del campo democratico. È una constatazione: i 5 stelle sono in stato confusionale, il rischio è che trascinino nell’inazione e nel pantano tutto il governo proprio ora che si è guadagnato la possibilità di arrivare al traguardo del 2023, la fine della legislatura.

Il segretario rilancia la massima collaborazione con i 5 stelle. E qui parla delle prossime regionali di primavera. «Nel rispetto dell’autonomia delle regioni» il dato fattuale è che senza alleanze ampie – e cioè di tutte le forze della maggioarnza – si rischia di consegnare almeno Puglia, Campania e Marche alla Lega e alle destre. Vito Crimi, il reggente del movimento, a parole risponde picche: «Non dobbiamo replicare gli altri partiti, non dobbiamo creare qualcosa di strutturale con gli altri partiti. Dobbiamo lavorare sui temi, non sulla collocazione». Ma è una finta chiusura che lascia ampi margini di reversibilità.

Quanto al partito, «il rinnovamento continua», «figuriamoci se torno indietro», la direzione è «rinnovare il Pd aprendolo di più alla società». Ma il congresso della rifondazione, lanciato l’11 gennaio a mezzo stampa, è sparito dai radar. Se ne parlerà, ma non arriverà prima dell’ autunno, dopo il voto regionale.