Non è il primo ultimatum monco quello che Nicola Zingaretti ha lanciato ieri su legge elettorale e referendum, ma alla vigilia della sospensione dei lavori di Montecitorio per le ferie è quello che più probabilmente cadrà nel vuoto. Chiedere ancora, come ha fatto il segretario del Pd approfittando di un tweet di padre Bartolomeo Sorge, che su una nuova legge elettorale di impianto proporzionale ci sia entro il 20 settembre (data del referendum costituzionale) «il pronunciamento di almeno un ramo del parlamento» sbatte contro il calendario. E contro i numeri della commissione affari costituzionali della camera, l’unica che a questo punto potrebbe almeno approvare in sede referente («un pronunciamento») la nuova legge elettorale. Con i renziani che si sono sfilati dal proporzionale con sbarramento al 5% che pure avevano sottoscritto, e sia Forza Italia che la Lega non disponibili a intese prima delle regionali, i margini per un voto anche simbolico si sono esauriti. Cosa farà allora Zingaretti?

Nella sua nota di ieri, il segretario è stato chiaro nell’analisi come già in passato, giudicando «fondate» le preoccupazioni di Bartolomeo Sorge, secondo il quale «tagliare i parlamentari senza riforma elettorale vuol dire mutilare la nostra bella Costituzione. NO allo scempio!». Meno chiaro come intenda muoversi il gruppo dirigente del Pd se come pare il referendum sulla riforma costituzionale che taglia il parlamento italiano fino a farne quello con il peggior rapporto in Europa tra eletti ed elettori arriverà prima di una schiarita sul nuovo sistema elettorale. Da escludere (purtroppo) che il partito possa tornare a sostenere il no alla riforma costituzionale di marca grillina. La via del disimpegno dalla campagna elettorale resta la più facile, ma il Pd che ha votato sì in parlamento (solo) nell’ultimo passaggio sarà ugualmente chiamato a trarre le conseguenze dei suoi recenti allarmi. Dopo il 21 settembre, cioè, a sentire quello che dice oggi Zingaretti, i democratici potrebbero trovarsi di fronte a un assetto istituzionale fortemente squilibrato con pesanti limitazioni delle rappresentanza nonché ad alleati che non hanno rispettato gli impegni.

Se l’ultima uscita di Renzi appare più interlocutoria – «noi siamo per il maggioritario ma se altri vogliono il proporzionale discutiamo» – non è il caso di farsi troppe illusioni. Il leader di Iv avrebbe certamente interesse a ritoccare al ribasso la soglia di sbarramento, attualmente ipotizzata al 5%, ma ancora di più a non cambiare il sistema attuale dove la soglia è al 3%. Mentre il capogruppo di Leu Fornaro conferma che «noi sul proporzionale, con una soglia di sbarramento ragionevole, ci siamo».

La situazione appare senza via di uscita per il Pd, quando oggi i senatori che hanno proposto il referendum incontreranno i presidenti di camera e senato. Tra loro il dem Nannicini che insiste nelle ragioni del no sulla base di considerazioni non diverse da quelle di Zingaretti, ma per questo viene attaccato dagli uomini del segretario.