Un incontro a Palazzo Chigi fra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, convocato ieri alle 11 e durato 45 minuti (prima il leader Pd, da presidente della Regione, era stato ricevuto da papa Francesco) e tenuto riservato fino alla sua conclusione, per un soffio non si trasforma in un incidente nella maggioranza. A risentirsi è Italia viva, sospettosa per non essere stata convocata. Ma il ‘caso’ si rivela subito una tempesta in un bicchier d’acqua: non si trattava di un vertice di maggioranza ma di un confronto fra due leader di partito, sebbene i principali azionisti del governo. Alla fine tutto è chiarito. Ma Ettore Rosato, coordinatore Iv, mantiene un tono piccato: «Evidentemente era un incontro di cui avevano bisogno per problemi interni o per bisogno di visibilità». Una frase che dimostra che nella maggioranza c’è chi ha i nervi a fior di pelle.

RICOSTRUIRE IL CLIMA GIUSTO. È la ragione per la quale il leader Pd sta facendo da giorni un ampio giro di incontri. Zingaretti si è messo al lavoro per rilanciare lo spirito di coalizione, base indispensabile per l’annunciata verifica di governo e per il nuovo «cronoprogramma» in vista di quella che il premier chiama «la maratona dei prossimi tre anni».

PRIMA DI NATALE ZINGARETTI ha visto proprio il presidente del Consiglio. Poi il ministro Speranza, rappresentante di Leu. Dopo le feste ha avuto un colloquio con Dario Franceschini. Tre giorni fa ha preso un caffé con il ministro dell’economia Gualtieri. Nei prossimi giorni vedrà anche Matteo Renzi, che dovrebbe tornare dalle vacanze l’8 gennaio.

ZINGARETTI NON È L’UNICO convinto che la verifica dovrà essere convocata solo quando su tutti i punti sensibili le forze della maggioranza avranno accorciato le distanze. E infatti i ben informati spiegano che l’appuntamento non arriverà prima delle regionali del 26 gennaio. Dal canto suo il Pd presenterà la sua proposta al seminario che si terrà in un ex convento, l’abbazia di San Marco Pastore a Contigliano, vicino Greccio nel reatino, il 13 e il 14 gennaio. Ci saranno segretario, ministri, sottosegretari e parlamentari.

MA NELLA MAGGIORANZA le distanze sono ancora profonde. Il leader Pd lo ha verificato anche nell’incontro di venerdì scorso con il suo vice, Andrea Orlando, che tiene le fila del delicato dossier giustizia. Martedì 7 gennaio è in agenda il vertice di maggioranza dove dovrebbe essere concordata la modifica dell’abolizione della prescrizione in vigore dal primo gennaio. Ma il condizionale è d’obbligo. Il ministro Bonafede al momento esclude passi indietro dalla sua legge; il Pd ha presentato un testo che la modifica; Italia viva annuncia il suo sì alla legge Costa (Fi) che ripristina la prescrizione. Un groviglio intricatissimo, difficile da sciogliere al primo confronto.

A ULTERIORE TESTIMONIANZA del clima teso, ieri è scoppiata un’altra polemica fra Pd e Iv, da una parte, e 5s dall’altra. La ministra per l’innovazione Pisano ha annunciato un provvedimento sull’«identità digitale rilasciata dallo Stato». L’ex ministra Madia si è detta «perplessa» e Renzi ha avvertito la pentastellata: «Metta da parte strane idee stile Grande Fratello». Distanze restano su Quota 100 (Iv vorrebbe abolirla prima della scadenza, Palazzo Chigi nega); e sui decreti sicurezza, oggi in vigore esattamente come ai tempi del governo giallo-verde. L’unica schiarita si registra sul caso Gregoretti: dopo qualche perplessità, Iv ha fatto sapere che è orientata a votare per mandare Salvini a processo. Ma a scanso equivoci, c’è chi dice che Palazzo Chigi preferirebbe che venisse rimandato il voto nella giunta per le autorizzazioni, previsto per il 20. Almeno di una settimana. E cioè dopo le elezioni regionali: per evitare di offrire un assist a Salvini, che è capace di trasformare un suo rinvio a processo in un volano propagandistico.

INSOMMA, LA FINE DELLE FESTE consegna alla maggioranza quasi tutti i conflitti di prima di Natale. Eppure, l’incontro di ieri fra Di Maio e Zingaretti si è svolto in «un clima molto positivo e costruttivo», dice un comunicato congiunto dei due staff.

LA VOLONTÀ DI ANDARE AVANTI è scontata. Assai meno la capacità dei 5 stelle di contenere il caos del movimento. Al ritorno dal capodanno a Madrid il «capo politico» si è ritrovato intatto anzi peggiorato il marasma interno. Abbandoni, espulsioni, litigi. Il suo ex amico Di Battista schierato con il cacciato senatore Paragone. Proprio nel pieno di ben altre crisi: quella libica e il conflitto Usa-Iran. Che, da ministro degli Esteri, dovrebbero essere la sua principale preoccupazione.