Potrebbe essere il grande giorno del Pd, oggi. I pasticci del governo gialloverde servono sul piatto d’argento un’occasione unica nella storia del paese: quella di un presidente del consiglio, Giuseppe Conte, costretto a un’informativa al senato per difendere il silenzio pneumatico del ministro Salvini sul Russiagate all’italiana. Il titolare del Viminale non ha neanche risposto al presidente della Camera Fico e al ministro dei rapporti con il parlamento Fraccaro che si facevano istituzionalmente portatori della richiesta di Pd, Leu e +Europa di riferire in parlamento. Lo farà, ha fatto sapere Salvini, ma quando lo deciderà lui. Ce ne sarebbe abbastanza per metterlo all’angolo.
MA LE TENSIONI INTERNE AL PD, insieme al cannoneggiamento dei 5 stelle sul caso Bibbiano, rischiano di non far portare a casa il risultato. O per lo meno, di non farlo capitalizzare al leader. Oggi il segretario, che non è parlamentare, sarà in Emilia Romagna per una delle tappe del suo viaggio per l’Italia. Al senato parlerà invece il senatore Matteo Renzi. Lo ha comunicato lo stesso ex segretario via social, senza perdere tempo con le liturgie della democrazia, per esempio dirlo prima al segretario o al gruppo di Palazzo Madama. Secondo i renziani la cosa era stata concordata. Gli uomini del segretario hanno smentito: «Zingaretti si è limitato a rimettere la decisione all’assemblea dei senatori», precisa Franco Mirabella. I senatori dem ieri pomeriggio hanno accolto la decisione di Renzi. Del resto in quella camera i renziani sono la stragrande maggioranza. Ed è renzianissimo il capogruppo Marcucci. Nella riunione Misiani, Pinotti e Zanda hanno chiesto maggiore collegialità nelle scelte del gruppo. Come fossero una minoranza.

Non c’è nulla di strano, o almeno non ci sarebbe, nel fatto che l’ex premier sia il frontman del Pd della giornata campale. «È la voce più autorevole del Pd al senato», spiega Marcucci. Curioso semmai è – ma si fa per dire – che in questi stessi giorni di scontro totale con la Lega Renzi abbia deciso di concentrarsi sulle divergenze con il suo segretario. Ancora ieri a La7 ha ripetuto che lui e i suoi avrebbero voluto presentare una mozione di sfiducia contro Salvini. «Nei gruppi parlamentari avremmo avuto i numeri», spiega. Sottolineando senza dirlo che Zingaretti non ha la maggioranza.

DA QUANDO HA DECISO di non uscire dal partito, Renzi ha giurato al Corriere: «Non mi occupo più del Pd». Salvo essere in prima fila nella critica al segretario e nella cabina di regia di un logoramento continuo a cui il leader fatica a fare fronte.

IL CLIMA INTERNO AL PD comincia pericolosamente a surriscaldarsi. E il segretario sembra un po’ solo. In Sicilia l’annullamento dell’elezione del segretario regionale Faraone finisce in tribunale, come ha annunciato Fausto Raciti. E se questi sono i ’nemici’, cioè gli avversari interni s’intende, poi ci sono gli amici: la proposta di dialogo con i 5 stelle di Dario Franceschini (che è un elettore del segretario ma ha anche un certo know quanto a cambi di cavallo) alla fine ha fornito l’occasione di un’altra levata di scudi (renziana) contro Zingaretti.