Fosse un giorno qualsiasi, la formula «fase nuova» si tradurrebbe in notizie zero anzi, peggio, in un capo di imputazione per la solita sinistra che apre nuove ere senza far succedere mai niente; e questo anche se la location è un dibattito a Garbatella, il quartiere rosso di Roma che ha dovuto cedere il passo a un minisindaco a 5 stelle; e anche se il colpo d’occhio è oggettivamente sorprendente, il cortile di un teatro – L’Ambretta – pieno zeppo di piddini confusi e infelici mischiati a giovani del centro sociale La Strada e a militanti della “Villetta in festa”, roccaforte della sinistra romana che anche quest’anno ha la tigna di festeggiare mentre tutto intorno è sconfitta e sbigottimento (chapeau).

Ma lo scorso lunedì sera non è un giorno qualsiasi. E’ appena finita la direzione del Pd in cui Renzi sembra Rambo mentre dice alla minoranza: «Mi volete cacciare? Chiedete un congresso e possibilmente vincetelo». E a rispondergli stavolta non è solo la minoranza costretta nel copione di sempre: il suo documento prende 8 voti, Gianni Cuperlo come Cassandra: «Condurrai la sinistra italiana a una sconfitta storica». A rispondere al segretario stavolta c’è anche, con tono felpato, Dario Franceschini – sì, Bruto – che chiede di cambiare la legge elettorale per fare una coalizione sinistra-destra anti 5 Stelle; e Andrea Orlando, ministro stimato e fin qui disciplinato che quella sera dice due parole, però pesanti, «partito irrisolto». Insomma viene il dubbio che stavolta la formula «fase nuova» possa avere un qualche senso, nel Pd e subito fuori.

A parlarne, a Garbatella, è il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, l’eterna promessa della sinistra Pd, arrivato con il suo vice Massimiliano Smeriglio, che invece è di Sinistra italiana, a presentare il libro di Goffredo Bettini, La difficile stagione della sinistra (Ponte Sisto edizioni). Bettini, oggi europarlamentare e considerato da sempre uno dei registi della politica del Pd romano – lui nel libro nega e si schermisce – è uno a cui il vitalismo di Renzi piace («è un talento politico», «ha il terzo occhio», «è americano, in senso buono»), ma lo vede pericolosamente zoppo senza una spinta gauchiste. Ma la sinistra Pd è, ritiene, del tutto inabile. Bettini usa parole durissime, «cretinismo istituzionale», «conservatorismo», «involuzione», «ha esaurito la funzione». E chiede ai giovani di talento di farsi avanti. «Zingaretti, Orlando, non mi vengono altri esempi», la lista è breve per lui.

Stavolta Zingaretti che, diventato governatore del Lazio nel 2013 si è sapientemente defilato dalle beghe di partito e inabissato nella delicatissima Regione post Polverini, stavolta non tira la palla in tribuna come ha fatto in questi anni. Sorride, strizza gli occhi in un modo familiare a tutti gli italiani – è il sorriso del commissario Montalbano – e dice che «è giusto, bisogna fare qualcosa, ma sarà fondamentale non restare prigionieri di schemi». Spiega che bisogna anche darsi una mossa: «Non voglio minimizzare la sconfitta di Roma, ma sono colpito dall’emergere di uno smarrimento non per la profondità della sconfitta ma perché non gestiamo più il potere, ed è un segnale inquietante. È grave cadere, ma è molto più grave non ragionare sul come rialzarsi».

Insomma ecco la fase nuova: «Anche a Roma dobbiamo ripartire dalla capacità di ascoltarsi, perché oggi non ci si confronta più sulle idee ma si demonizza chi le idee le esprime» non è difficile cogliere l’allusione alla direzione appena conclusa, «pensare a una sinistra che si rimette in discussione, riprende un filo unitario di iniziativa, ridà una prospettiva politica al paese», dunque «apriamo una fase di riscossa della sinistra romana, apriamo un confronto fra anime diverse, noi con umiltà possiamo mettere a disposizione un modello della regione. Non so se è un laboratorio, ma è un’esperienza di governo che ha migliorato le condizioni dei cittadini», posta «la forza indiscutibile» di Renzi, ora serve «una sinistra per ricominciare, senza conservatorismi». Stavolta Zingaretti sarebbe della partita. Smeriglio, preoccupato dalla fascinazione a 5 stelle di molti dei suoi compagni, annuisce e se la prende con i conservatorismi di casa sua, Sinistra italiana, «c’è chi ristudia Pietro Secchia e invece non capisce che la sfida a Renzi non può essere la conservazione, la nostalgia contro la rottamazione fine a se stessa, ma la qualità sociale del cambiamento: su due pilastri, redistribuzione e giustizia sociale».

Sarà davvero «fase nuova»? Comunque Zingaretti qualcosa dovrebbe farla, anche se non avesse ambizioni da congresso nazionale. Anzi tanto più. Fra due anni la regione torna al voto e il tonfo della sinistra romana al Campidoglio non è certo un buon viatico per riprovarci. Ha lanciato una specie di movimento Cambiamento.eu. Fra i suoi c’è chi aspetta che diventi Cambiamento.it. Costruire un nuovo campo di forze, a Roma innanzitutto come consiglia Bettini, è imperativo categorico. Per non rischiare di ricostruire le condizioni di un’altra sconfitta.