«Grazie al lavoro e all’impegno di Nicola Zingaretti e ai due anni di opposizione in Campidoglio, il Pd torna ad essere il primo partito della Capitale. Recupera 5 punti percentuali facendo segnare un risultato del tutto straordinario che sancisce la fine dell’effetto Raggi. A Roma il M5S si ferma al 21,99%, quasi nove punti percentuali in meno di quanto ottenuto dalla sindaca appena due anni fa. Il Pd, invece, torna di nuovo in testa con il 22,5%». Nel fare gli auguri al riconfermato presidente della Regione Lazio, il gruppo consiliare del Pd in Campidoglio scatta la fotografia puntuale del risultato delle elezioni regionali. Se non fosse per un particolare. Anzi due. Il primo è proprio l’effetto Raggi, ma nell’accezione negativa, il secondo si chiama Sergio Pirozzi.

Le grandi difficoltà in cui versa la giunta pentastellata di Roma infatti sembrano aver favorito Zingaretti, pur senza nulla togliere al valore che la maggioranza dei cittadini del Lazio gli riconosce personalmente. Il governatore dem infatti ha totalizzato domenica scorsa in tutta la regione 1.018.523 voti, il 33,26%, (alla lista del Pd sono andate 538.673 preferenze), mentre nel 2013, quando venne eletto la prima volta, toccò la punta di 1.330.398, il 40,65% (e il Pd incassava 834 mila consensi).

A Roma città, nello specifico, Zingaretti cala dai 715 mila voti del 2013 ai 545.250 attuali, mentre i pentastellati segnano una lieve crescita passando dal 20.09% che allora totalizzò il candidato pentastellato Barillari (la lista prese il 16,85%) al 26,44% attuali di Roberta Lombardi (al M5S il 21,99%).

Se poi confrontiamo questi dati con i risultati delle politiche di domenica scorsa (collegi uninominali per la Camera) nella circoscrizione Lazio 1, cioè Roma e provincia – 659 mila voti (32,7%) al centrodestra, 654 mila al M5S (32,4%) e 512 mila (25,4%) al centrosinistra – è facile supporre che se non ci fosse stata Virginia Raggi i grillini sarebbero probabilmente decollati anche nella Capitale, come nel resto d’Italia.

L’altro elemento che ha spianato la strada, altrimenti impossibile, all’esponente dem è stato il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi che, con il suo 4,94% di voti sottratti al candidato di centrodestra che Berlusconi ha piazzato al suo posto, ha impedito a Stefano Parisi di trionfare fermandosi al 31,49% dei suffragi (964.181). (Da notare che la Lega, che nel 2013 non era neppure presente con il proprio simbolo sulla scheda elettorale, nel Lazio ha raccolto solo quattro punti percentuali in meno di Fi, ma precede FdI, mentre alle politiche si attesta nella regione e a Roma primo partito della coalizione).

Perciò quando Zingaretti dice «abbiamo vinto, uno degli elementi positivi di questa vittoria è la stabilità. La parola d’ordine è: ora avanti veloce», c’è da augurarsi che abbia ragione. Perché ancora ieri, mentre rifiutava le avances di chi dentro al Pd lo vorrebbe al posto di Renzi («non corro per la segreteria», ha detto ieri specificando che «ci sono forme diverse di contribuire alla politica: penso, in tutti questi anni, di aver dato un contributo immenso al Pd e al centrosinistra dimostrando che si può governare e si possono vincere le elezioni») il governatore si arrovellava per la maggioranza assoluta che in consiglio non c’è.

Dei 50 seggi totali, infatti, in via della Pisana il centrosinistra potrebbe contare solo su 25 seggi, contro i 15 del centrodestra e i 10 del M5S. Per la maggioranza assoluta fa gola dunque l’unico seggio che va a Pirozzi. «Il mio atteggiamento è sempre stato e continuerà a essere di grande apertura e verifica e disponibilità all’ascolto», è stato il tentativo di Zingaretti. Ma il sindaco di Amatrice vende cara la pelle e storce il naso: «La lista dello Scarpone – dice – andrà avanti da sola, all’opposizione».