«Vittoria eclatante… Abbiamo lavorato estremamente bene. Siamo pronti a formare il prossimo governo» ha dichiarato il leader del partito d’opposizione Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), Nelson Chamisa ieri in un tweet, facendo riferimento ai dati raccolti dai suoi rappresentanti in 10mila seggi sparsi in tutto lo Zimbabwe. Poco tempo dopo il presidente uscente e candidato del partito da sempre al potere Zanu-Pf, Emmerson Mnangagwa, ha risposto dal suo account: «Sono lieto dell’alta partecipazione. Le informazioni ricevute dai nostri rappresentanti sul campo sono estremamente positive!».

Le dichiarazioni vittoriose di entrambi i principali sfidanti nelle elezioni zimbabwane di lunedì, mentre era ancora in corso il conteggio delle schede da parte della Commissione elettorale (Zec), facevano già immaginare che si sarebbe trattato di un testa a testa ad alta tensione, come del resto avevano previsto i sondaggi.

Il voto si è svolto in un clima pacifico e ottimistico. Code senza fine di votanti hanno invaso le strade fuori dai seggi in tutta la nazione dell’Africa australe sin dalle prime ore dell’alba. Stando ai dati ufficiali, in media il 75% dei zimbabwani aventi diritto si è recato alle urne, un’affluenza record che non si vedeva dai tempi dell’indipendenza dal regime a dominanza bianca di Ian Smith. È «il primo voto realmente libero», «un’occasione che farà cambiare le cose d’ora in poi», si sentiva pronunciare fra la gente in attesa.

I 5,5 milioni di elettori dovevano scegliere i membri del Parlamento e delle amministrazioni locali, oltre che il nuovo capo di Stato. È la prima volta che ciò avviene senza l’ex-presidente Robert Mugabe, spodestato da un golpe de facto dell’esercito lo scorso novembre dopo 37 anni di potere segnati da malgoverno, corruzione, isolamento diplomatico e crisi economica. Anche lui, il«vecchio elefante», nel primo pomeriggio si è recato al seggio nel sobborgo Highfield della capitale. Il giorno prima si era inaspettatamente presentato di fronte ai media nella sua villa per criticare ciò che ha «subìto» e annunciare che non avrebbe votato per il suo vecchio partito Zanu-Pf e per Mnangagwa. Chissà se la sua ultima zampata avrà influenzato le urne.

Se nessuno dei due contendenti supererà la soglia del 50%, ci sarà un secondo turno l’8 settembre e questo quadro appare molto probabile. Chamisa ha molto seguito fra i giovani, che costituiscono quasi la metà dei votanti, e nei grandi centri urbani come Harare, ma Mnangagwa ha il sostegno della tradizione, del potere decennale dello Zanu-Pf, molto radicato nelle zone rurali. Difficile fare pronostici.

Nel frattempo è cresciuta l’attesa e con essa anche l’apprensione. I risultati definitivi non saranno pronti prima di sabato come annunciato dalla presidente della Zec, Priscilla Chigumba, ma la pubblicazione dei primi dati provvisori era prevista già ieri alle 15. La Commissione ha fatto sapere che il voto si è svolto «senza frodi» né violenze e la cosa è stata confermata anche da gli osservatori internazionali che, però, hanno segnalato criticità organizzative. Elmar Brok, a capo della missione dell’Ue ha giudicato il voto «molto regolare» in alcuni luoghi e «totalmente disorganizzato» in altri.

Prima del voto Chamisa aveva accusato la Zec di mancanza di imparzialità e segnalato intimidazioni nelle sue roccaforti elettorali oltre a diverse irregolarità nella stampa delle schede e nelle liste. Ieri sera però, vedendo che i primi risultati non venivano pubblicati e che la Zec non forniva spiegazioni, l’esponente del suo partito Tendai Biti (famoso ex ministro delle Finanze) ha alzato improvvisamente i toni. Si è di nuovo scagliato contro i commissari, accusandoli di per aver accumulato ritardi «inaccettabili» nella diffusione dei primi risultati, e ha dichiarato Chamisa vittorioso. Un quinto dei seggi non aveva ancora affisso i risultati all’esterno come da norma. Un ritardo che, secondo l’opposizione, avrebbe l’intento di manipolare i voti afavore dello Zanu-Pf accusato di «interferire con la volontà popolare». Biti ha addirittura esortato il partito al potere a «non gettare lo Zimbabwe nel caos».

Poco dopo le agenzie annunciavano la presenza della polizia per le strade della capitale Harare armata di cannoni ad acqua, mentre fuori dagli uffici dell’Mdc un folto gruppo di supporter già danzava vittorioso.
Nel frattempo il Zimbabwe Election Support Network (Zesn), un coordinamento di gruppi della società civile che ha schierato oltre 6.500 osservatori indipendenti sul terreno, ha annunciato di voler presentare un’azione legale per obbligare la commissione a pubblicare i risultati.

Sono momenti decisivi perché, a giudicare da quanto si osserva sul terreno, il fatto che entrambi gli schieramenti diano la vittoria per scontata potrebbe tramutarsi in proteste in caso di sconfitta. Il verdetto delle urne verrà riconosciuto? L’atteggiamento mostrato dall’Mdc fa credere di no, ma anche una resa pacifica dello Zanu-Pf è improbabile dato il rischio che alcuni dei suoi membri, specie quelli militari, si sono presi partecipando alla destituzione di Mugabe. In proposito va ricordato che in Africa vige una legge non scritta «chi ha le armi ha il potere».

In queste ore lo Zimbabwe, dove in passato i periodi post-elettorali hanno spesso generato violenze, è di fronte a un test democratico. Se i zimbabwani vogliono davvero ricostruire il loro Paese, devono agire con calma e non lasciarsi trascinare dall’istinto.