Lo scorso week end, nel piccolo centro industriale di Moss, nel fiordo di Oslo, si è svolta l’inaugurazione dell’ottava edizione di Momentum, la biennale nordica d’arte contemporanea in Norvegia. Momentum 8 riflette sulle possibili condizioni di isolamento nell’era di Internet. Tra gli artisti invitati alla biennale, la pop star Zhala Rifat, musicista concettuale, artista e performer (stasera è a Roma ospite al Forte Prenestino nell’ambito della rassegna Crack!), si è esibita nel corso di una performance e ha creato una jam session in loop, una colonna sonora appositamente concepita per la mostra. Ex corista di Lykke Li, Zhala è nata in Svezia da una famiglia curda. È l’unica musicista ad aver firmato con la Konichiwa Records, l’etichetta della pop star svedese Robyn, che l’ha scelta per aprire i suoi concerti in tour in Europa. Zhala fa parte della scena femminista genderqueer a Stoccolma. La sua musica deriva dall’esperienza del clubbing e si unisce a un discorso più intimo, che ripercorre le sue origini e la sua storia personale, come ci ha raccontato nel corso di questa intervista. «Molti dei miei amici – spiega Zhala – hanno frequentato scuole d’arte, come Roxy Farhat, un’artista di origini iraniane che adesso vive a Stoccolma e a New York. Con Roxy ho fatto parte di un collettivo femminista e lavoriamo insieme ancora oggi. Non ho frequentato il conservatorio. Sono un’autodidatta, ho studiato musica per un anno e mezzo a Los Angeles e a vent’anni ho cominciato a frequentare la scena clubbing a Stoccolma quando ne avevo diciassette. Poi, nel 2012 ho fondato Donna Scam.

20120430-zhala-02-2dmblogazine

Qual è stato il ruolo di Donna Scam in città?

Prima di fondare il mio club con Anna Uddenberg, un’attrice, e Brandy Hanna, un’artista, c’erano moltissimi spazi dedicati alla cultura underground. Era il 2007 o il 2009, dei miei amici avevano fondato Eros video, un club di cui facevo parte anch’io. Quello è stato il momento più interessante per il clubbing a Stoccolma, c’era voglia di incontrarsi e di lavorare insieme. I primi collettivi in città erano composti da persone diverse, con formazioni diverse, booker, artisti… non era importante il contesto da cui provenivi. È così che ho cominciato. In quegli anni ero una parte importante della scena underground e club a Stoccolma, ero dappertutto.
Nella primavera del 2012 ho fondato Donna Scam e ho organizzato tre grossi eventi con Anna e Brandy: più o meno una serata al mese, e poi eventi più piccoli, mostre d’arte contemporanea. Una volta ho anche messo in scena il mio matrimonio curdo! Era un vero e proprio lavoro full time, lavoravamo a ogni evento per circa un mese e mettevamo su grandi installazioni da sole. Era uno spazio dove sperimentare. Nei miei show, ad esempio, uso spesso acqua di rosa. Ho cominciato a farlo proprio durante quelle serate e lo ritrovo ancora oggi nel mio lavoro di musicista. In Svezia esiste una tradizione di club lesbici con quella musica sempre un po’ nostalgica… Per avere accesso a questi spazi devi avere una posizione femminista e politica forte. Anche se sono profondamente d’accordo con tutto questo, allo stesso tempo credo che un club debba essere anche un luogo per metterti in discussione, dove hai ancora più libertà senza trovarti necessariamente nell’ambito di un preciso contesto politico. Donna Scam era aperto non solo ad omosessuali, ma anche ad etero; un club deve includere e non escludere le persone. Inizialmente ci sono state delle reazioni molto dure. Ci hanno accusato di sfruttare la scena queer femminista. A volte bisogna andare avanti, senza rimanere bloccati in un atteggiamento troppo critico. Mia madre non mi ha insegnato cos’è il femminismo parlandomi di quel teorico o di quel libro, non l’ho imparato dalla lettura. Questo era l’approccio di Donna Scam. La settimana scorsa ho letto di un nuovo club lesbico in città… non ricordo il nome, ma per me è importante sapere che quello che abbiamo fatto produce ancora degli effetti sulla scena locale.

Dove sei cresciuta?

Sono cresciuta a Hjulsta, nella periferia di Stoccolma. Quello era il mio mondo fino ai 16 anni, finché non ho deciso di iscrivermi in una scuola in città. Ero l’unica studentessa nella mia classe di origini non svedesi. C’è voluto molto tempo ma è stato un viaggio all’interno della classe sociale svedese. Quando ho cominciato a cantare. Poi ho iniziato a prendere coscienza di quello che sono. Ho capito che anche solo fare quello che vuoi è una scelta politica. Con il mio nuovo album (Zhala, Konichiwa Records 2015), e insieme a Roxy Farhat, mi sono mossa in questa direzione. Mi sto facendo delle domande sulle questioni che hanno cambiato la mia pratica in modo decisivo. La mia responsabilità adesso consiste unicamente nel liberare me stessa. Se sono onesta, allora non devo sentirmi responsabile per nessuno, sto facendo la cosa giusta.

È vero che prima di aprire i tuoi show bruci la bandiera curda e quella svedese? 

Da ragazzina ricreavo un palcoscenico nel soggiorno di casa mia e nella mia cameretta, e lì c’erano delle bandiere alle pareti. Durante i miei show ricreo la stessa ambientazione. Sono cresciuta in un contesto politico e patriottico. Sono nata e cresciuta in Svezia, e questo mi ha permesso di prendere le distanze dalla questione politica curda. Non credo di impersonificare una nazione quando canto. È interessante vedere come la gente reagisce a tutto questo. Una volta, durante uno show, stavo aprendo per Jenny Wilson, una delle security guard, che era curda, non si era minimamente interessata al mio spettacolo finché non ha visto la bandiera sul palco. Alla fine ha seguito il mio concerto e gli è piaciuto. Questo vuol dire qualcosa per me! Ma anche la bandiera svedese ha fatto parte della mia adolescenza. Alcuni credono che abbia voglia di provocare, ma non si tratta di quello. Mia madre e mio padre fanno parte di partiti politici nel contesto curdo in Svezia. Hanno vissuto sulle montagne per cinque anni. Poi mio padre è diventato sindaco e poi ministro. Il mio ruolo di attivista proviene da lì, ma ci sono delle differenze. Io sono svedese e, quando ho delle conversazioni sulla politica, parlo della politica svedese e non di quella curda.

Puoi dirmi qualcosa di più sul tuo lavoro per la Biennale a Moss? 

È una colonna sonora appositamente realizzata per Momentum 8. È un pezzo nuovo, che ho registrato a Stoccolma. Non provengo da un contesto artistico perché faccio la musicista, ma quando ho iniziato a fare performance ho capito come definire meglio il mio lavoro. A febbraio sono venuta qui a Moss per il primo sopralluogo e sono partita dallo spazio e dall’architettura. È molto diverso da quello che faccio con la musica, ma è come curare un club: c’è la parte visiva, l’intera esperienza è connessa al suono e questo è connesso a tutto il resto. Alla Kunsthall, sulle scale, ho installato una traccia sonora di undici minuti; nel bagno, nel ristorante e nel bookshop ci sono altre tracce. È un mega loop di jamming… mi sono divertita molto.