Con nove libri pubblicati in sei anni da Bao Publishing, più di 100.000 copie vendute per ogni titolo, traduzioni in sette paesi esteri, un film in anteprima al prossimo Festival del Cinema di Venezia, tratto dal suo primo libro La profezia dell’armadillo (ristampato 18 volte), Michele Rech, alias Zerocalcare, è sicuramente una figura centrale del fumetto italiano oggi. Il 9 luglio scorso abbiamo avuto occasione di intervistarlo sul palco della Casa Internazionale delle Donne di Roma, durante un evento di solidarietà con lo spazio, minacciato dalla mozione di sfratto dell’amministrazione 5Stelle, purtroppo ratificata a fine luglio con la revoca immediata della convenzione alla Casa.

Nei tuoi racconti il protagonista è il tuo alter ego Zerocalcare, personaggio del quale seguiamo la crescita, formazione e il successo professionale. Un polpo alla gola è il libro in cui ti mostri più giovane e già in questo lavoro lo sguardo dell’altro, quasi in modo lacaniano, ha già moltissimo peso nella costruzione del sé; in questo caso lo sguardo è quello di Sara.

Il personaggio di Sara è stato molto problematico per me; volevo che i tre protagonisti (io, il Secco e Sara) avessero la stessa importanza, ma mentre per il mio esistevano già le voci, la coscienza interna e tutto il resto, mi sono reso presto conto che non sapevo come procedere per raccontare l’interioità di una ragazzina, se non ricorrendo a degli stereotipi; è chiaro che non parlavamo con le femmine a scuola…quindi decisi di usare la mia lente, senza entrare nella testa di Sara, né in quella del Secco (anche se sarebbe stato molto più semplice). Credo che sia per questo che la questione dello sguardo è diventata così importante: evitando la relazione verbale, è l’unico tramite per far capire quello che pensa il personaggio e come si relaziona con me.

Nelle tue storie appaiono molti personaggi, tra compagni della scena militante e veri e propri amici. Di amicizia parla anche La profezia dell’armadillo, con una protagonista indimenticabile, Camille, compagna di classe francese che dopo essere rientrata in Francia, si ammala di anoressia e dopo qualche anno muore. Camille è la prima a salutarti con un disarmante “Ciao Amico”, abbattendo quel muro tra maschi e femmine al quale alludevi poco fa. È in senso lato il personaggio che solleva il problema della responsabilità degli affetti?

La profezia è il primo libro che ho pubblicato ed è quello a cui sono più affezionato anche per i motivi che tu citi. Non sono molto capace di gestire i rapporti, tendo a dare per scontato che gli amici ci siano anche quando non ci sentiamo. È un libro che parla di affetti, ma di affetti sbilenchi, quelli che metti a fuoco quando è troppo tardi. In modo un po’ più consapevole rispetto a Un polpo alla gola, non provo mai a entrare nei pensieri di Camille-non c’ero durante la sua malattia- per cui la descrivo solo negli incontri che effettivamente abbiamo avuto. Ho comunque il terrore di scordarmi delle persone alle quali voglio bene, perché sarebbe come perderle. Da qui la necessità di ricordarsi di ricordare e di fissare questa vicenda dentro a un libro, fatto che può ovviamente ritorcersi contro di me: nella Artist edition del libro-uscita nel 2017- ci sono una decina di tavole di prefazione dove, a distanza di 5 anni dal lancio e dopo centinaia di presentazioni, mi chiedo se riesco a riconoscere il divario tra la Camille vera e quella che ho raccontato, come se il personaggio si fosse sostituito alla persona realmente esistita.

In Macerie prime il personaggio di Katja con la sua voglia di maternità, e quello di Sara, che invece non ha questo desiderio, gettano luce su un processo di autoderminazione tutto femminile: oggi la legge 194 è spesso messa in discussione e stasera siamo in un luogo, la Casa delle Donne, uno degli spazi simbolo di questa lotta, che è sotto sfratto. In compenso abbiamo un nuovo ministero, quello della famiglia…ce n’era bisogno?

Moltissimo, soprattutto assegnato a lui (ride). Anche lo spazio e le attività di Lucha y Siesta è sotto attacco, come tutti i luoghi dove si difendono istanze conquistate con la fatica di molte donne. Molto egoisticamente sono contento di non essere femmina. Se penso ai miei personaggi femminili riconosco una certa complessità; quelli maschili invece sono personaggi etero e immobili, ma non necessariamente rispondono agli stereotipi di genere: io non so niente di calcio, né di auto, per esempio… Andiamo verso una società in cui i ruoli non sono più quelli biologici e anche gli uomini guadagnano dallo scardinamento dei ruoli. Per lo stesso motivo questa regressione alla quale assistiamo è un qualcosa che fa male a tutti e che andrebbe debellata, senza lasciare le donne da sole con questi mostri.

Se in Macerie Prime (2017/2018) passi in rassegna il cast dei personaggi dei tuoi fumetti, creati, a detta tua, da parole, esperienze e figure molteplici che hai frequentato negli anni, in Kobane Calling (2016), che è il racconto dei tuoi viaggi in Kurdistan, non c’è questo bisogno. Come hai lavorato sul genere di reportage?

Anche se sulla copertina c’è scritto Zerocalcare, il libro è un lavoro svolto in modo collettivo in tutti i suoi passaggi, sin dall’ideazione del viaggio, effettuato con quella che all’epoca si chiamava la Staffetta romana per Kobane. Il programma di viaggio è stato curato dall’Ufficio Informazioni Kurdistan in Italia; ci confrontavamo in continuazione su quanto vedevamo e una volta tornati abbiamo deciso insieme ai kurdi stessi come e cosa raccontare, poiché molti fatti semplicemente non potevano essere narrati per motivi militari. Un lavoro complesso e anche multimediale se vogliamo: io andavo in giro con un taccuino, ma con me c’erano fotografi, videomaker, che poi hanno messo in comune tutto il materiale. Prima di mandare il testo in casa editrice l’ho fatto leggere a tutti quelli che hanno viaggiato con me.

Nel libro il comandante Nasrin dell’YPG è una figura compassionevole verso i familiari dei martiri morti per la difesa del Rojava, ma durissima all’ora di condannare la Turchia per la sua complicità nell’attentato di Suruç dell’estate del 2015, rivendicato dall’Isis. L’emancipazione femminile, fulcro della carta sociale prevista dal confederalismo kurdo, è davvero così centrale?

Io sono una persona molta scettica e attenta ai rischi della retorica, anche perché tendiamo a leggere certi fatti con la lente dell’esotismo, vittime di una fascinazione per tutto ciò che accade lontano. Nel Rojava invece molte di queste cose sono vere: per quanto riguarda la questione femminile nella carta sociale ci sono cose che sono attuabili immediatamente come liberarsi del velo, se si vuole, o andare in giro da sole; ma anche essere rappresentati da un sindaco e una sindaca, assicurarsi che le associazioni giovanili abbiano sempre struttura doppia, una mista e una solo femminile. Quanto questo assetto sia riuscito a stabilirsi anche nei villaggi del Kurdistan rurale, è abbastanza difficile da dirsi. Inoltre il focus sulle donne kurde è iniziato dalla difesa di Kobane, dal 2014, ma ci sembra che il processo con cui le donne hanno conquistato questi spazi all’interno del movimento di liberazione prima, e dopo all’interno della società, sia iniziato molto tempo prima. In generale è stato lo slancio comune per la creazione di una società migliore ciò che mi ha convinto a dedicare un libro a quest’esperienza.

In Kobane Calling c’è una tavola magnifica dove scrivi “Oggi ogni cosa sta a Kobane”.

Secondo te, oggi ogni cosa sta nel Mediterraneo?

Sì, probabilmente è lo stesso tipo di situazione, ma paradossalmente Kobane riusciva ad esercitare un richiamo più forte, forse perché essendo più lontana ci risultava più semplice sposare la causa, mentre nel Mediterraneo, c’è molta più freddezza; è più semplice appoggiare chi resiste a casa propria, che chi cerca di scappare dai propri paesi per cercare accoglienza da noi.

All’inizio di luglio hai dichiarato che hai in progetto di lavorare a un film di animazione, mentre le riprese del lungometraggio tratto dalla Profezia dell’Armadillo sono terminate. Puoi dirci qualcosa in più?

Nel film La profezia dell’armadillo sono uno dei 4 sceneggiatori, e il cinema è un’arte profondamente collettiva. Per quanta riguarda il progetto di animazione, che è certamente un linguaggio sul quale posso avere più controllo, dovrò mettermi a studiare, perché vorrei che invece fosse una creazione un po’ più personale. Si tratterà di una storia nuova e non adattata da un libro esistente.