Flora, architetta palermitana (insieme a Vivian, Lara e Anna, operatrici dell’associazione Handala), ci accompagna tra le insulae del quartiere Zen di Palermo progettato da Vittorio Gregotti nel 1969. Ai quartieri di edilizia pubblica post-Ina Casa si associano sempre parole come ghetto, Bronx, indicandoli come i mali supremi della società.

LA VISITA DAL VIVO allo Zen ha messo a fuoco criticità e positività. In primo luogo la forma urbana al pari della composizione delle singole unità pensate come insulae emergono in modo chiaro ed efficace, anche se alcuni dettagli – le scale di accesso agli immobili – sembrano disegnate da De Chirico e sono poco funzionali. Ma il vero fallimento è la sua scala territoriale, la scarsa vivibilità degli spazi pubblici comuni, insieme alla mancata realizzazione di quei servizi accessori che ogni progettista aveva previsto e che le amministrazioni non hanno mai realizzato. Non va dimenticata, poi, la composizione sociale del quartiere. Non si può assemblare un puzzle di problematiche sociali, dagli spacciatori agli anziani, che in forma autonoma magicamente si trasformino in comunità. Così come sarebbe bene smettere di urlare all’abusivismo, laddove vi è una necessità degli assegnatari legali di rimediare alle mancanze dello Iacp, che non fa la manutenzione e non recepisce le necessità degli abitanti. Anche con un giornalismo d’inchiesta demagogico si contribuisce al degrado culturale di un luogo e alla divaricazione tra il centro e lo Zen.
In questo contesto, opera dal 2008 l’associazione Handala. «Proprio a causa della sua conformazione spaziale – raccontano Vivian e Totò – perché abbiamo voluto differenziare i nostri sguardi scegliendo di lavorare allo Zen, le attività che proponiamo sono momenti fortemente aggregativi che hanno la strada come luogo comune di scambio e incontro. Il fallimento è la presunzione di poter creare unità abitative identiche per 15mila persone nel nulla, per lo più con la pretesa di riprodurre a tavolino le atmosfere di intimità e promiscuità dei vicoli del centro storico. Il disastro di questo atteggiamento per noi è un’evidenza. Ma è altrettanto sbagliato l’atteggiamento di chi, guardando il fallimento dei progettisti, derubrica tutto nella categoria dei non luoghi. Come se lo Zen fosse un posto in cui nulla succede e dove la vita dei suoi abitanti sia già segnata e assolutamente omologata».

PARTECIPAZIONE e cittadinanza attiva sono le parole che guidano Handala insieme ai due progetti principali. «C’è Mediterraneo antirazzista, una manifestazione sportiva, artistica e culturale che si svolge al Velodromo Paolo Borsellino, mentre da quattro anni con lo Spazio Donna creiamo occasioni di incontro e socializzazione: si impara a cucire, si studia per la terza media, si seguono corsi di ginnastica e visite guidate ai monumenti della città. Proviamo a portare allo Zen esperienze che annullano la distanza fisica dal resto della città e che sembrano negate a molte donne».
Il futuro del quartiere, nonostante la demagogia di Manifesta che invita Gilles Clément a realizzare un giardino con gli abitanti dagli esiti incerti almeno nella sua prima fase, si poggia sempre più su realtà come Handala che, nonostante le difficoltà e la scarsità di risorse provano a rimediare ai danni della politica palermitana.