Volodomyr Zelensky, il nuovo presidente ucraino, dopo aver atteso pazientemente per un mese il proprio insediamento, si è messo con piglio decisionista a correre. Aveva già fatto baluginare nel suo discorso di insediamento di lunedì la volontà di mandare a casa un parlamento sin troppo filo-Poroshenko e intento a far melina e martedì lo ha dimissionato senza troppi complimenti: le elezioni legislative si terranno anticipatamente a fine luglio con un sistema elettorale puramente proporzionale che dovrebbe far fuori molti deputati della vecchia nomenklatura e garantirgli una maggioranza solida alla Rada. Un’azione a tenaglia per far fuori definitivamente il presidente uscente.

Lo stesso giorno la procura ucraina ha aperto un fascicolo penale contro Poroshenko per «alto tradimento». Secondo la magistratura, durante la crisi dello scorso novembre con la Russia, Poroshenko avrebbe cercato «di imporre la legge marziale nel paese spedendo le navi militari nello stretto di Kerch e sacrificando così i marinai ucraini».

Una tesi che collima con quella russa della provocazione e dovrebbe far riflettere le cancellerie europee (italiana compresa) che con tanta superficialità sostennero allora le ragioni dell’ex presidente e votarono all’unisono la nuova messe di sanzioni contro la Russia proposte dalla commissione e da Federica Mogherini.

L’obiettivo a cui il nuovo presidente del Tridente punta è la pace nel Donbass. È la promessa che lo ha portato a vincere le presidenziali e sembra intenzionato a mantenerla. Sa che finché non «riporterà i nostri ragazzi a casa», sono inimmaginabili gli investimenti occidentali per far risorgere il paese. Ma anche la decisione di Putin di dare il passaporto russo agli abitanti delle due «repubbliche ribelli», secondo il moscovita Vedomosti, sta spingendo Zelensky a fare in fretta.

«Farò la pace subito a costo di scelte impopolari e darò l’ultima parola, attraverso un referendum, al popolo ucraino», ha annunciato ieri Zelensky. Cosa ciò significhi lo ha i spiegato il suo nuovo portavoce Andrey Bogdan: «Stiamo valutando la possibilità di raggiungere un accordo di pace con la Russia e vogliamo indire un referendum popolare in modo che non solo il presidente decida e i deputati votino ma sia la società stessa a dare una valutazione degli accordi».

Il numero due ucraino ha anche aggiunto la disponibilità di giungere a un «vero» compromesso con Mosca: «Quando si va a una trattativa non esistono “linee rosse” insuperabili. Da secoli è così, si tratta senza tenere conto degli umori momentanei dell’opinione pubblica».

Quale possa essere il punto di caduta dell’accomodamento con Putin, resta da vedere. Secondo il giornale di Kiev Strana, ci sarebbero già stati contatti telefonici preliminari con il Cremlino. «I punti dirimenti restano l’autonomia regionale per Donetsk e Lugansk e l’amnistia per i separatisti combattenti (punti già contenuti negli accordi di Minsk 2) ma Zelensky sarebbe disposto a trovare una soluzione per entrambi», sostiene il giornale ucraino.

Come? Separando le trattative. L’accordo sarebbe siglato da Mosca e Kiev e spetterebbe poi a Putin far digerire i punti più controversi ai secessionisti del Donbass. Per parte sua Zelensky si affiderebbe al referendum. A leggere i sondaggi, gli ucraini sono già dalla sua parte. Il «partito della guerra» non avrebbe più del 25% dei voti nel referendum e nelle regioni orientali il 95% degli elettori sarebbe pronto ad approvare «un accordo onorevole».

L’accelerazione di Zelensky ha provocato sommovimenti anche nella Ue. La Tass informa che in tarda serata c’è stata una telefonata a tre tra Putin, Merkel e Macron per discutere del rilancio della trattativa del Formato Normandia dopo le dichiarazioni del presidente ucraino.