Quest’oggi il tour (virtuale) di Volodymyr Zelensky tocca l’Italia. Alle 11 del mattino, dopo le brevi introduzioni dei presidenti di Camera e Senato Luigi Fico e Maria Elisabetta Casellati, il presidente ucraino si rivolga in videoconferenza agli eletti nei due rami del parlamento, riuniti in seduta comune nell’aula di Montecitorio davanti al megaschermo dal quale verrà proiettato il discorso.

RIVOLGENDOSI alle diverse assemblee elettive, dal parlamento europeo alla Knesset israeliana, Zelensky ha menzionato di volta in volta i miti fondativi di riferimento in modo da riscuotere approvazione il più possibile estesa e suscitare mobilitazione politica ed empatia. Nel corso dei quindici minuti del suo intervento, dunque, dovrà cimentarsi con i topos della cultura politica italiana. Ci si aspetta, ma non è affatto detto, una menzione della Resistenza e della lotta partigiana, che è stata evocata spesso nel dibattito pubblico del paese a proposito dell’aggressione russa all’Ucraina. Dopo del leader ucraini, tocca al presidente del consiglio Mario Draghi, che anche il giorno successivo si presenterà davanti alle camere per le comunicazioni in vista del prossimo consiglio europeo.

TUTTAVIA, il parlamento italiano non darà il suo consenso unanime a Zelensky. Ci sono sacche di insofferenza, piccoli nuclei in controtendenza. In che modo le differenze si paleseranno e in quale misura è da vedere. Non ci saranno diversi ex 5 Stelle, tra di essi anche gli aderenti a L’Alternativa C’è e Gianluigi Paragone di ItalExit. Tra gli altri, Veronica Giannone, altra ex grillina ora in Forza Italia, contesta quella che considera solo una «spettacolarizzazione». Non si presenterà neppure il leghista Simone Pillon, e probabilmente anche altri del suo gruppo faranno la stessa scelta pur senza rendere palese la loro posizione.

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L’OSPITE Roberto Fico minimizza: «Si tratta di voci isolate e non di gruppi». E tuttavia proprio dal suo Movimento 5 Stelle, la compagine parlamentare più sostanziosa, emergono dissensi. Il leader Giuseppe Conte non mostra esitazioni. Pur non sedendo in parlamento, assicura la sua partecipazione e quella del M5S. «Sentiremo la voce di Zelensky che in questo momento è sotto attacco», dice Conte. Che definisce quello ucraino come «un governo legittimo e democratico che si trova sotto il giogo di un’occupazione che sta ovviamente causando tantissime vittime, una carneficina che deve smettere al più presto». I 5 Stelle sono in subbuglio da giorni. Lo stesso Conte ha dovuto ringraziare pubblicamente i suoi per non esporre in pubblico tutti i dubbi sulla gestione della crisi ucraina.

LE CONTRADDIZIONI sono esplose all’indomani dell’approvazione alla camera dell’ordine del giorno per l’aumento delle spese militari. In quell’occasione, il capogruppo del M5S in commissione difesa Giovanni Aresta e il presidente, anche lui grillino, Gianluca Rizzo (che è anche firmatario dell’odg) avevano fatto riferimento a un M5S ormai divenuto «adulto» e dunque, questo il senso della metafora, lontano dalle posizioni della fase nascente. Si tratta di una narrazione molto in voga presso gli eletti più vicini a Luigi Di Maio. Resta il fatto che la scelta non è affatto piaciuta allo stesso Conte e a molti senatori, che adesso auspicano che il leader ci metta una pezza prima che il testo arrivi, dovrebbe accadere nei prossimi giorni, al senato. Se così non fosse, assicurano, romperebbero il voto del silenzio chiesto dal leader e lancerebbero la loro offensiva, «sul metodo e sul merito delle decisioni prese». A quel punto per Conte si paleserebbero gli spettri delle rotture interne e anche quelli delle simpatie putiniste di alcuni settori, neanche troppo marginali, del M5S all’inizio di questa legislatura, all’epoca del governo gialloverde con la Lega.

NELLE CHAT dei parlamentari sono circolate molte critiche, che non dovrebbe palesarsi quest’oggi di fronte alle parole di Zelensky ma che contribuiscono ad alimentare la tensione attorno alla scadenza. Spiegando al manifesto il suo disaccordo con la linea emersa alla camera, ad esempio, il senatore Alberto Airola cita il fatto che l’ordine del giorno sulle spese militari impegni il governo «a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici». Cosa che, a suo dire, metterebbe il tutto su binari incostituzionali, visto che non si capisce fino a che punto l’esercito italiano potrebbe spingersi per offrire una garanzia del genere.