E’ con lo stupore e la paura di un Robinson Crusoe, gli occhi ancora annacquati dal naufragio e spalancati per la prima volta sulla spiaggia deserta dell’isola fatale, che si inizia a giocare a Legend of Zelda Breath of the Wild, uscito per Wii U ma soprattutto per Switch, la nuova console di Nintendo che grazie alla sua natura ibrida ci consente di giocare ovunque, davanti alla televisione oppure utilizzando il tablet che è l’anima di questo eccellente hardware mutante.
Ci perdiamo e ritroviamo dentro Link, ancora nell’io sempre cangiante del ragazzo dalle orecchie a punta, immemori come lui di ogni altra avventura elettronica vissuta fino ad ora come se questa fosse l’unica e la prima e le altre non siano mai esistite. E’ questa la malia che la nuova Leggenda di Zelda opera su chi interagisce con il suo vasto mondo, con i suoi abitanti e le sue storie. L’esercizio di una magica illusione dal potere di convincere, quando giochiamo e durante la veglia e i sogni, che questo sia il videogame per eccellenza, una summa di tutto ciò che di straordinario sia stato sviluppato per essere esperito con un controller di qualsivoglia tipo in mano. E non si tratta solo di magia, poichè quel timore dell’ignoto e quel disorientamento magnifico che si prova durante le prime ore di gioco perdureranno per tutta una lunga avventura così fantasy da risultare “vera” e permarranno nella dimensione dei ricordi, edificando un monumento intimo al videogioco come Idea Alta. Senza nulla togliere ai tanti capolavori, alle esperienze favolose o terrificanti, ai viaggi nell’altrove numerico che chi scrive ha provato a raccontarvi in questi anni, Legend of Zelda Breath of the Wild sta alla storia dei videogiochi come Tristano e Isotta a quella della musica, una sublimazione di tutto ciò che vi è stato prima, un grandioso compendio eppure anche una svolta, un nuovo inizio, da cui quest’arte novella non potrà che trarre benefici, trasformandosi e adattandosi come le armonie di Bruckner, Mahler, Strauss e Debussy dopo la lezione wagneriana.
Eiji Aonuma e la sua “orchestra” di artisti elettronici sono riusciti a operare un miracolo esclusivamente videoludico, un’opera che non ha bisogno di sconfinare nel dominio di altre arti per carpirne amorevolmente la magia come tanti videogame. E non importa che talvolta si verifichino cali di frame-rate come non importerebbe nulla se avessimo colto l’ombra del microfono di un operatore distratto in Citizen Kane o Au Hasard Balthazar, oppure che il motore grafico di Switch non possa riprodurre per potenza ridotta (ma non troppo) le alchimie visive dei videogiochi più riusciti per Playstation 4. E’ nell’insieme vertiginoso di tutti i dettagli, di ogni invenzione e di ogni emozione ludica in grado di suscitare che Legend of Zelda Breath of the Wild manifesta la sua incrollabile grandezza restando sempre coerente e vero.
Legend of Zelda è stata una saga autoreferenziale: c’è sempre un Link, una principessa, una malvagia presenza e il mondo di Hyrule, sebbene cambiato dal clima e dagli eoni, è lo stesso. Malgrado quasi tutti gli episodi usciti durante più di trent’anni per le diverse piattaforme Nintendo abbiano stabilito nuovi parametri di qualità per il genere delle avventure in terza persona, le leggende di Zelda inventate nel 1986 da Shigeru Miyamoto si sono alimentate sempre e solo del loro immaginario e delle proprie dinamiche ludiche. Questa volta invece Nintendo ha spalancato gli occhi oltre il suo territorio e in Breath of the Wild cogliamo reminiscenze dei “Souls” di Hidetaka Miyazaki per ciò che riguarda la difficoltà di alcuni combattimenti e l’utilizzo strategico del vigore che si cosuma dopo ogni sforzo, la varietà di approccio alle situazioni sperimentata in Metal Gear Solid V, le ascese di torri che rivelano porzioni di mappatura come in Assassin’s Creed, la caccia e la raccolta di risorse per potenziare l’equipaggiamento alla Monster Hunter ma soprattutto la macrostruttura di un mondo di gioco estesissimo strutturato secondo le regole di un “Open World” dallo stile occidentale che rimanda a Elder Scrolls, a Red Dead Redemption e The Witcher 3. Tuttavia le foreste, i monti, i mari, le pianure, le paludi, i vulcani, i ghiacciai e i deserti di questa Hyrule immensa e liberamente esplorabile offrono una varietà di situazioni che non cessa mai di stupire, centinaia di misteri e occasioni di avventure si celano dietro ogni panorama e tutto è incastonato in questi con una maestria incomparabile. Persino la narrazione non interattiva deriva dalla volontà di esplorare, di spingersi oltre, fino a raggiungere luoghi remoti, ameni e pericolosi che scatenano l’anamnesi di Link. Tanti contenuti ludici e diegetici sono esaltati da un realismo fisico e atmosferico impressionante, in grado di influenzare prepotentemente l’esperienza di gioco: la gravità condiziona l’esito di ogni azione favorendo il sorgere di idee creative e realizzabili; la pioggia bagna le rocce e ci impedisce di arrampicarci; il vento muove con armonia e violenza gli alberi, le nuvole e le foglie; i fulmini possono ucciderci se indossiamo oggetti metallici. Vengono premiate la fantasia del giocatore e il suo desiderio di sperimentare viaggiando, cucinando, persino sostando godendosi i panorami o per ripararsi dalla pioggia sotto una tettoia diroccata. Il “respiro della natura selvaggia” a cui fa riferimento il titolo è il “naturlaut” vagheggiato durante il romanticismo, il mormorio della foresta, solo talvolta contrappuntato dai brevissimi accenti musicali della colonna sonora, come i suoni di un piano trascinati lontano dall’impeto del vento.
Diversamente da ciò che accade in tanti “open world” molto dilatati, qui l’obiettivo principale non è mai diluito dalla mole delle missioni secondarie e opzionali. La storia di un Link dormiente per un secolo è quella di un eroe che comincia una nuova avventura già sconfitto, quella di un convalescente che riacquista le forze per sconfiggere definitivamente il Male e salvare una principessa Zelda che scopriamo più dolce e umana dopo il rivelarsi di ogni ricordo. E’ un viaggio iniziatico per ribadire l’eterno valore del Bene e nello stesso tempo l’epopea personale del giocatore per (ri)scoprire le potenzialità del videogame e della propria capacità di sognare.
Legend of Zelda Breath of the Wild è il Videogioco, uno strumento catartico e motore di universale gioia ludica, qualcosa che durante i pochi decenni di una ricca storia di meraviglie interattive abbiamo già vissuto e imparato ad amare, anche se mai con tanta intensità.