Bijan Zarmandili, intellettuale e scrittore nato a Teheran e vissuto a Roma, ci ha lasciati il 9 novembre. È stato munifico autore di romanzi nei quali ha fatto divampare i materiali narrativi sedimentati in una biografia che lo ha reso testimone e interprete di due mondi, funambolo tra due lingue e due appartenenze, italiana e persiana, rese acuminate dall’esilio.

OPPOSITORE DEL REGIME dello scià Pahlavi, non ancora ventenne trovò rifugio a Roma, dove fu tra i principali quadri della sinistra iraniana in esilio, mentre – studente della Facoltà di architettura – viveva le occupazioni, gli sgomberi, la battaglia di Villa Giulia. Dopo essere divenuto caporedattore esteri di Astrolabio, la prestigiosa rivista di Ferruccio Parri, pubblicò importanti saggi sul mondo iranico e fu collaboratore di Politica internazionale, Limes e La Repubblica, come analista politico di Medio Oriente.

Poi, d’un tratto, già sessantenne, si disfò della sua qualifica di esperto come di un abito logoro, venuto a noia, non volle più rilasciare interviste, partecipare a dibattiti, pubblicare analisi geopolitiche. Gli premeva scrivere, raccontare, immergersi nei sogni e negli incubi e trarne reperti cui dare significato, raccogliere frammenti delle storie dei singoli individui sui quali la Storia passa con le sue ruote ferrate, come un angelo benjaminiano che veda l’accumularsi delle rovine non nella grande scena d’insieme ma nei dettagli, nei visi dei terremotati, dei torturati dalla polizia, dei senza casa, degli abbandonati, degli assassini, dei traditori, dei disperati, dei pazzi, o nelle vite borghesi trafitte da un rimorso, in una cella d’isolamento dove un prigioniero si affeziona alla mosca che torna a visitarlo, nella spiaggia dove uno shahid muore vegliato da un cane.

Nell’arco di poco più di dieci anni, dal 2004 al 2016, Zarmandili ha scritto sei romanzi ambientati in Iran e in Italia, in un italiano talmente ricco da poter essere asciugato fino ad apparire scarno, privo di aggettivazioni ridondati, affilato dalla frequentazione della poesia persiana e dei mistici sufi, mostrando una capacità poetica e linguistica che tuttavia non ha mai smesso di essere politica.

LA DOPPIA APPARTENENZA di esule ha portato nei suoi romanzi quello che egli stesso ha definito «il caos dello spaesamento», visto come cifra di comprensione del mondo attuale. Fu proprio Zarmandili, con la precisa intenzione di suscitare un dibattito sui molti autori che nascono alla scrittura in una lingua diversa da quella d’origine, a chiedere: «Cosa accade quando la musica delle sillabe, la coerenza dei ritmi, vengono utilizzate non dai poeti che hanno avuto maternità in quella lingua, ma dai suoi figli illegittimi?» Si aprì un confronto che vide impegnati numerosi scrittori, italiani per nascita o per adozione letteraria, e che prese corpo sulle pagine di cultura di diversi quotidiani per poi approdare tra i fatti salienti dell’anno nel Libro Treccani 2012.
Ma l’origine rimase, per Zarmandili, il luogo magico da cui trarre vividi i suoni, i colori, il gusto, la sensibilità che fonda l’estetica. «Perché l’esilio non divenga il luogo dell’oblio bisogna popolarlo di fantasmi, di demoni e di angeli, sono loro che ti restituiscono l’identità che rischi di perdere».

ASSIEME ALL’ORIGINE, il luogo ricorrente nei suoi romanzi è la follia, non quella resa patologica della modernità, come scrive Starobinski in un passo posto da Zarmandili ad esergo del suo romanzo Il cuore del nemico, ma quella tragica, in cui sono gli dèi a precipitare l’uomo nell’abiezione e nel caos, fino alla perdita di sé – quella di Filottete, Aiace, Edipo – che viene dall’eccesso del dolore. Forse per questo nei libri di Zarmandili si trova uno sguardo spietato e al tempo stesso colmo di pietas, per quanto possa apparire un ossimoro; una pietas serena, che non giustifica ma nemmeno condanna.
E quando il registro tragico è colmo, ecco una stilettata di ironia che sembra rimettere in gioco tutto, farsi gioco di tutto: i demoni del deserto, protagonisti di un suo splendido romanzo, di giorno vagano per le dune a spaventare i cammelli con i loro scherzi ma di notte indicano la direzione giusta per non far perdere le carovane.
Difficile credere che una persona non ci sia più. Quando a scomparire è uno scrittore generoso e visionario, termina la possibilità di incontrare figure stravaganti, sante, crudeli o folli, emerse come testimoni di un mondo interiore. Il mondo di Bijan Zarmandili era colmo di dolcezza e amore degli uomini, anche i più piccoli, e di interesse per le loro vicende, di fronte alle quali restava incantato come un bambino davanti a un congegno meraviglioso, catturato dalle loro pieghe segrete, ciascuna capace di mostrare un po’ di tutti noi, perché alla fine è questo il dono della letteratura.