Decine di migliaia di persone sono scese in strada, denunciando i crimini compiuti dagli statunitensi. Gli iraniani hanno reagito così all’assassinio del generale Qassem Soleimani, il capo delle forze speciali al-Quds dei pasdaran che in Iran verrà ricordato come un martire.

Il leader supremo Ali Khamenei preannuncia vendetta e aggiunge che la morte del generale «raddoppierà la resistenza contro gli Stati uniti e Israele». Su Twitter, il ministro degli Esteri Zarif ha definito l’attentato un «atto di terrorismo internazionale» nei confronti di «colui che ha combattuto nel modo più efficace contro Daesh, Al Nusra, Al Qaeda e agli gruppi integralisti».

Per il Consiglio supremo della Sicurezza nazionale, Washington è responsabile di questa «avventura criminale». Intanto, dalla città santa irachena di Najaf il Grande Ayatollah al-Sistani – massima carica religiosa dell’Islam sciita – denuncia la violazione della sovranità irachena da parte degli Stati uniti e invita tutti alla calma.

In Medio Oriente è un momento di massima tensione, nessuno poteva immaginare che il presidente statunitense Trump potesse osare tanto. Solo così si spiega la facilità con cui gli americani hanno colpito Soleimani e altri dieci personaggi di spicco di cui Abu Mahdi al-Muhandis, capo delle milizie sciite irachene Kataib Hezbollah, accusate dal Pentagono di avere ucciso un contractor Usa venerdì scorso. Un uomo che coordinava anche le Unità di Mobilitazione popolare che raccolgono l’insieme delle milizie irachene vicine all’Iran.

Se questi militari di spicco si muovevano insieme, con tranquillità, è perché pensavamo di essere al sicuro. Evidentemente Trump ha rischiato grosso perché il gioco vale la candela: l’economia iraniana è duramente colpita dalle sanzioni, Teheran è isolata dal punto di vista internazionale e le continue dimostrazioni di questi anni hanno tolto legittimità agli ayatollah al potere.

Questo, in breve, il calcolo del presidente. Che non ha però fatto i conti con la Storia di questo paese, dalla storia millenaria e con un forte nazionalismo, dove gli attacchi esterni non fanno che coagulare consenso attorno ai vertici.

E infatti ieri decine di migliaia di iraniani sono scesi in piazza a commemorare la morte del generale e a dimostrare contro le ingerenze americane nella regione. Ora la loro rabbia potrà essere facilmente strumentalizzata da un manipolo di politici, di ogni fazione, che si preparano alla campagna elettorale in vista delle parlamentari di venerdì 21 febbraio.

Se Trump ha rischiato tanto, è plausibile che abbia ricevuto l’avallo del presidente russo Putin, che ben ricorda quella che per Mosca è stata una scorrettezza e che non è cosa nota ai più. Il parlamento di Teheran non ha mai approvato la missione in Siria e quindi, laddove necessario, non era stato possibile mandare l’aviazione militare iraniana a copertura delle truppe di terra.

Per questo nell’agosto 2016 le autorità della Repubblica islamica avevano chiesto a Putin l’invio di due squadroni di Sukhoi 25 che sarebbero stati operativi dalla base aerea di Hamedan, a sud-ovest della capitale Teheran.

Per i russi, si sarebbe dovuto trattare di un invito di lungo periodo ma sette giorni dopo il bombardamento per garantire copertura ai soldati iraniani, a operazione conclusa, i deputati di Teheran aveva sollevato l’incostituzionalità della presenza straniera. I russi non l’avevano presa bene, ma avevano smobilitato quella che ritenevano una loro base permanente. E se l’erano legata al dito.

A succedere a Soleimani sarà il suo vice, il generale Esmail Qaani, anche lui classe 1957. Qaani era entrato nei pasdaran nel 1982, negli anni Ottanta ha combattuto contro l’Iraq, è stato attivo nella repressione durante le proteste dei contadini a Mashhad nel 1992, ha rivestito un ruolo nell’intelligence, a metà anni Novanta è stato nominato a capo dei corpi speciali Ansar per l’Afghanistan e il Pakistan, combattendo i signori della droga e fornendo sostegno contro i Talebani.

Legato al leader supremo, non ha né il carisma né la credibilità sul campo di battaglia di Soleimani. Qaani è un burocrate, con lui le forze al-Quds torneranno sotto la linea gerarchica delle Guardie rivoluzionarie. Per molti, non solo per le milizie sciite, la successione di Qaani a Soleimani vorrà dire perdere un interlocutore.