Patrick George Zaki resta in cella. Lo ha deciso ieri il tribunale di Mansoura-2, che ha respinto l’appello presentato dai legali dello studente egiziano dell’università di Bologna, arrestato lo scorso 8 febbraio all’aeroporto del Cairo.

LE ASPETTATIVE erano positive rispetto alla possibilità che il 28enne ricercatore per i diritti umani venisse rilasciato. Patrick, secondo una fonte vicina al suo avvocato Wael Ghaly, è arrivato in aula scortato da un imponente schieramento di polizia. Ad attenderlo una folta rappresentanza della stampa internazionale ma anche di molti giornali egiziani. «Una cosa del genere non succede nemmeno con i processi di importanti politici o attivisti», continua la fonte. All’udienza erano presenti anche funzionari dell’ambasciata italiana e dell’Unione Europea per monitorare il processo.

«Stava bene stavolta, perché sperava di essere liberato», ha dichiarato all’Associated Press un’altra sua avvocatessa, Hoda Nasrallah. L’udienza è durata appena dieci minuti, nei quali il ricercatore ha raccontato in dettaglio i maltrattamenti e le torture subite nelle prime fasi della detenzione. Patrick ha detto alla corte di essere stato spogliato, di aver subito scariche elettriche e di essere stato interrogato «per almeno sei ore» all’aeroporto prima di essere trasferito in un’altra struttura della Sicurezza nazionale.

Gli avvocati di Patrick hanno puntato sulle irregolarità procedurali del suo arresto per chiederne il rilascio, ricordando che il giovane è stato detenuto illegalmente per un giorno prima di comparire davanti a un procuratore e sottolineando l’assoluta mancanza di prove a suo carico. «In un primo momento – ha raccontato l’avvocato Ghaly – il giudice sembrava convinto. Poi ha ricevuto una telefonata, durata pochi minuti, dopo la quale ha emesso la sua decisione di conferma dell’arresto». È realistico immaginare che su una vicenda così delicata la decisione non sia lasciata a un semplice magistrato di una provincia. Data la politicizzazione del caso, non è da escludere che i servizi o la stessa presidenza abbiano saldamente in mano le sorti di Patrick.

ORA IL TEAM LEGALE dovrà attendere 30 giorni per poter presentare un altro appello. Il 22 febbraio Patrick comparirà nuovamente davanti al procuratore, che deciderà se rinnovare di altri 15 giorni la custodia cautelare. La detenzione preventiva in Egitto può essere rinnovata anche per mesi o anni. È di fatto il modo con cui il regime tiene dietro le sbarre migliaia di persone senza alcuna condanna. Le accuse rivolte a Patrick (tra cui diffusione di notizie false, incitamento al terrorismo e alla sovversione) sono di routine in tutti i processi politici.

Immediate le reazioni internazionali alla notizia. «Nonostante la grande indignazione dell’opinione pubblica di fronte alla conferma della detenzione, la decisione di oggi non è stata una sorpresa», è il commento della campagna “Free Patrick George”, che denuncia anche l’atteggiamento intimidatorio delle autorità egiziane: «A partire da ieri – si legge nel comunicato ufficiale – le varie istituzioni mediatiche dello Stato egiziano hanno dipinto la solidarietà internazionale per Patrick come un’interferenza esterna negli affari interni egiziani e la campagna di sostegno è stata descritta come un movimento ‘sospetto’». Dura anche la presa di posizione di Erasmo Palazzotto, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, che ha scritto: «Abbiamo il dovere di tenere i riflettori puntati su un Paese, l’Egitto, che non può più permettersi di giocare impunemente con la vita delle persone».

LA FAMIGLIA REGENI, che nei giorni scorsi ha sollecitato un intervento deciso del governo italiano in favore di Zaki, giovedì da Genova è tornata a chiedere il richiamo dell’ambasciatore al Cairo. Eventualità che pochi giorni fa il ministro degli Esteri Di Maio aveva escluso nettamente, dichiarando che «solo avendo un ambasciatore lì» si potrà ottenere qualcosa, sia per Patrick che per la verità su Giulio.

Intanto la mobilitazione prosegue. Ieri si è tenuto un presidio a Milano nei pressi del consolato egiziano. Oggi a Roma alle 17 è previsto un sit-in organizzato dagli studenti, mentre lunedì sera si mobiliteranno in contemporanea tutte le sette città sede del master in studi di genere a cui è iscritto Patrick. «Il governo egiziano punta a stancarci – ha twittato Amr Abdelwahab, amico di Patrick e tra gli organizzatori della campagna – Riusciremo a tenere alta la pressione un’altra settimana?».