La Zad è solo una scintilla. Ed è la speranza che le cose possano cambiare, lì come altrove. Acronimo di zone à défendre (zona da difendere), costituita da quasi 2 mila ettari di foresta, la Zad è il luogo di una lunga lotta, vinta, contro il mega aeroporto di Nantes, precisamente Notre-Dame-des–Landes (30 km più a nord), in Francia. Ma è anche il laboratorio, attivo (seppur azzoppato da espulsioni e sgomberi), di un altro modello di società, che ha messo al centro le battaglie ecologiche e l’opposizione alla proprietà privata per riconquistare collettivamente il potere sulla gestione del territorio.

Valeria Mazzucchi e Antoine Harari hanno seguito quest’esperienza da vicino, per lunghi periodi dall’inizio del 2018 alla fine del 2019, con una prossimità di sguardo e una condivisione di intenti (ed emozioni) da cui è nato il film The Spark (L’Étincelle in francese). Il documentario, dopo essere stato selezionato al festival internazionale Visions du Réel in Svizzera, arriva per la prima volta in Italia in occasione di CinemAmbiente, la più importante rassegna cinematografica italiana a tematica ambientale, che si apre a Torino domani e proseguirà fino al 6 ottobre. The Spark, selezionato per la sezione Made in Italy, è uno degli 89 film, in arrivo da oltre 30 paesi, in cartellone. Antoine Harari, classe 1987, è un giornalista investigativo freelance che divide il suo tempo tra la Svizzera e la Sicilia. Nel 2020 ha co-fondato la casa di produzione Futur Proche con la sua compagna Valeria Mazzucchi, nata nel 1990, documentarista, che abbiamo incontrato.

Qual è la genesi di «The Spark» e come siete arrivati a Notre-Dame-des–Landes?

È complessa. All’inizio volevamo fare un film su un ex militante dell’Ira in Irlanda del Nord, ma poi abbiamo sentito l’esigenza di raccontare qualcosa che sentivamo più vicino alle nostre lotte e alla nostra generazione. E alla Zad ci siamo avvicinati attraverso gli scritti di Comité invisible. Siamo arrivati, a inizio 2018, nel giorno della festa per l’avvenuta marcia indietro del governo francese, guidato da Macron, nei confronti del progetto del nuovo aeroporto. La lotta aveva pagato. In una distesa di prato enorme c’erano migliaia di persone, fanfare colorate, un allegorico tritone – l’animale simbolo del movimento, perché in estinzione ma anche perché capace di rigenerarsi se attaccato – che sfilava in mezzo. Accendemmo la camera, registrammo: era un momento di exploit. Il giorno dopo, invece, la spegnemmo e incominciammo a conoscere chi alla Zad ci viveva.

Che luogo avete vissuto e che storie avete incontrato?

Ha una lunga storia, i primi a muoversi per la sua difesa, già negli anni ’70 quando si parlava di un hub aeroportuale per l’arrivo e il decollo dei Concorde, erano stati agricoltori e popolazione locale, poi sono cominciati ad arrivare giovani dalle città e movimenti internazionali. La Zad si caratterizza per una eterogeneità delle componenti. Ci sono attivisti ecologisti di provenienza urbana, che qui si sono trovati per concretizzare ideali comuni, o persone come Padre, che aveva provato a entrare senza successo nell’esercito e nei pompieri ed era finito a vivere per strada e che alla Zad si è sentito accettato. Oppure giovani che scontano il peso della precarietà lavorativa e in questa foresta hanno incontrato una vita finalmente più piena. Le storie che abbiamo scelto di raccontare sono state frutto di incontri, di condivisione e di voglia di aprirsi. Non un fatto automatico, vista anche la sfiducia nei confronti dei media che hanno dato di questa lotta una visione spesso stereotipata.

Quale approccio avete scelto per il vostro lavoro di documentazione?

Abbiamo voluto conoscere le ragioni personali che hanno portato i nostri personaggi a investirsi anima e corpo nel progetto. Mentre scoprivamo le loro motivazioni e la loro quotidianità non potevamo fare a meno di riflettere sul nostro quotidiano, esprimendolo attraverso una voce fuoricampo.

Eravate alla Zad quando, pochi mesi dopo la vittoria per l’abbandono del progetto, sono iniziati, nell’aprile 2018, sgomberi ed espulsioni. Com’è stato?

È iniziato tutto alle 4 del mattino, qualche giorno dopo il limite di legge che in Francia vieta gli sgomberi invernali. Ed è stata la più grande operazione di polizia dal maggio 1968. Sono state espulsi attivisti e distrutte le casette di legno. È stata attaccata per sgretolarla non eradicata, perché Oltralpe la Zad è tuttora un simbolo. Questa sproporzionata dimostrazione di forza ci ha reso chiaro che ciò contro cui il governo si batteva era molto di più di qualche insediamento illegale, ma quello che la Zad rappresentava: una breccia, una scintilla, dentro il modello unico socio-economico proposto dalle nostre società. Ci sono stati altri sgomberi. Ora, la Zad non è più la stessa ma sopravvive e resiste.

Guardando il vostro film si scoprono diverse analogie con il movimento No Tav per l’eterogeneità, per la presenza e difesa di un territorio, per alcune pratiche come la battitura e lo sviluppo di pensiero critico. È una connessione sentita?

Esiste ed è presente tra queste due lotte. Basta citare la presenza alla Zad di un libro come Contrade. Storie di Zad e No Tav del collettivo Mauvaise Troupe. Personalmente non ho vissuto direttamente la mobilitazione No Tav perché ho abitato a lungo in Turchia, dove ho completato i miei studi di Diritto internazionale ma ho anche capito che non volevo fare l’avvocata. E devo dire grazie al mio professore che per la tesi mi ha lasciato fare un documentario, che ho realizzato su Hasankeyf, una piccola città nel Kurdistan turco finita sott’acqua a causa della diga Ilisu, parte del Gap, un progetto pianificato dal governo turco.

«The Spark» verrà proiettato il 5 ottobre al cinema Massimo di Torino durante CinemAmbiente. Ora, cosa vi aspettate?

È stato un progetto difficile dal punto di vista dei fondi, ma siamo stati molto sostenuti dalle persone con cui abbiamo collaborato e abbiamo incontrato in questi anni. Lo abbiamo montato durante la pandemia. Adesso cerchiamo una distribuzione italiana, che ci permetta anche di farlo vedere nei circuiti associativi.