Come un’aquila a due teste, che secondo il loro amico Jean Cocteau è la metafora della vita dei due protagonisti della moda del Novecento, a Parigi e a Marrakech sono state inaugurate le due sedi del museo dedicato a Yves Saint Laurent. Un’opera voluta con ostinazione da Pierre Bergé, l’uomo che l’ha amato per tutta la vita e che, salvaguardandolo dalle tirannie del mercato e dalle sofferenze di una perenne depressione, gli ha permesso di rivoluzionare la moda. Per ironia beffarda della sorte, il museo dedicato al couturier scomparso il 1 giugno del 2008, «quando aveva soltanto 72 anni», ha aperto le sue porte un mese dopo la scomparsa di Bergé, che se n’è andato nella notte tra il 7 e l’8 settembre a 86 anni. Già nel 1992, Saint Laurent diceva di voler «essere ricordato come un artista che ha costruito la sua opera e mi piacerebbe che nei prossimi cento anni si studiassero i miei vestiti e i miei disegni».

È stato il primo couturier ad archiviare sistematicamente i prototipi fin dalla sua collezione di esordio e ora finalmente tutto il suo lavoro, iniziato nel gennaio del 1955, quando è diventato l’assistente di Christian Dior, e terminato il 5 gennaio 2002, con l’annuncio del suo definitivo ritiro, è disponibile nelle due sedi del Musée Yves Saint Laurent. A Parigi, il museo occupa l’hotel particulier al numero 5 di avenue Marceau, che dal 1972 al 2002 è stata la sede della Maison fondata nel 1961 in rue Spontini, e che dopo il ritiro di Saint Laurent è diventata la Fondation Bergé-Saint Laurent.

Nella nuova sistemazione si può vedere lo Studio in cui Saint Laurent svolgeva il suo lavoro creativo, si possono visitare i saloni dove lavoravano sarte, sarti, ricamatrici e ricamatori, artigiani di insuperabile maestria (in totale 200) e dove sonos tate sistemate le collezioni di archivio: un totale di cinquemila abiti di haute couture YSL e 65 disegnati per Dior tra il 1955 e il 1960, alcune centinaia di abiti Saint Laurent Rive Gauche, migliaia di accessori, molti costumi disegnati il cinema (per Catherine Deneuve in Belle de Jour, per Arletty in Les Monstres sacrés), per il teatro (per Geneviève Page in L’Aigle à deux tȇtes) o come il famosissimo costume Champagne Rosé realizzato per Zizi Jaenmaire nelle riviste di Roland Petit. A Marrakech, la seconda sede del museo è in una nuova costruzione di 4 mila metri quadrati attaccata ai Jardins Majorelle, l’oasi naturalistica allestita dal pittore orientalista francese negli anni 30 e che Bergé e Saint Laurent acquistarono nel 1980.

«In Marocco ho capito che il mio cromatismo era quello delle zelliges e delle zouacs (piastrelle locali, ndr), delle djellaba e dei caftani. La mia audacia la devo a questo Paese, alla violenza dei suoi accordi, all’insolenza dei suoi mélanges, all’ardore delle sue invenzioni. Questa cultura è diventata mia, ma non mi sono limitato ad adottarla: l’ho annessa, trasformata e adattata» dichiarava Saint Laurent nel 1983 mentre al Metropolitan Museum di New York era in corso Yves Saint Laurent: 25 Years of Design, prima mostra in assoluto dedicata a un couturier vivente. E Bergé aggiunge: «Yves ha scoperto Marrakech nel 1966. Fu uno shock fantastico che gli fece decidere di comprare una casa». In questa città dalla polvere dorata, prima a Dar el Hanch e poi nella villa Oasis, Saint Laurent concepiva le sue collezioni di haute couture.
E DA QUI sono partiti anche i suoi viaggi immaginari verso l’arte, la Russia, il maschile-femminile.

Temi che esplorano le sale di esposizioni con gli allestimenti dello scenografo Christophe Martin, la Biblioteca, l’Auditorium, la Galleria fotografica, la Libreria e perfino Le café allestito come se fosse lo Studio del couturier. Il Musée Yves Saint Laurent porta alla conoscenza dell’attualità sia la potenza creativa di Yves, sia la forza dell’immaginazione di Pierre. Due personaggi il cui «destino a due teste» ha influenzato tanto la vita dell’uno e dell’altro quanto l’espressione culturale della moda. Scriveva Marguerite Duras: «Le donne di Saint Laurent hanno abbandonato gli harem, i castelli e anche le periferie per correre sulle strade della città, nelle metropolitane e nelle Borse di tutto il mondo». Infatti, a lui si devono capi entrati nella storia: il caban e il trench del 1962, il primo smoking del 1966, la sahariana e il tailleur pantaloni del 1967, le trasparenze e il nude look del 1968 e, soprattutto, l’invenzione del pret-à-porter.