Nel gennaio del 1968 Yukio Mishima e Nagisa Oshima, sulle pagine di una nota rivista di cinema giapponese, si confrontarono su un tema tanto affascinante quanto complesso. Così diverse per credo politico e concezione della vita, due delle più importanti figure del panorama culturale post bellico giapponese, si trovarono d’accordo nel sottolineare come i media visivi, e specialmente la televisione, avessero cambiato il modo di fare attivismo e politica delle nuove generazioni.

Mentre Mishima considerava questa deriva spettacolarizzante come uno svuotamento del vero senso del far politica, Oshima vedeva nelle «performance» dei giovani che protestavano in piazza o nelle università, sempre consci dell’occhio onnipresente della televisione, un campo dove si sperimentava una sovrapposizione creativa dell’atto politico con quello performativo.

UN ANNO DOPO, il tredici maggio del 1969, Mishima fu uno dei protagonisti di un dibattito che è diventato, con il passare degli anni, uno degli esempi più alti e lampanti di questa sovrapposizione. Lo scrittore partecipò infatti ad un incontro, organizzato all’Università di Tokyo, durante il quale si confrontò – animosamente ma non senza battute ironiche, risate ed un rispetto di fondo verso la fazione opposta – su temi politici e filosofici con gli studenti in rivolta della Todai Zenkyoto, organizzazione studentesca della prestigiosa università della capitale che spesso aveva protestato e battagliato per le strade della città.

La figura dell’imperatore così come intesa dallo scrittore, ed il ritorno ad un Giappone militare e legato alla «tradizione» da una parte, e una visione della realtà teleologica ed in continua rivoluzione, con la lotta di classe come motore principale del corso storico dall’altra, sono solo alcuni dei temi che Mishima ed i suoi interlocutori, in piedi in un’atmosfera infuocata, offrirono al migliaio di studenti presenti.

QUESTA conferenza/dibattito fu ripresa dalle telecamere del canale Tbs e fu una sorta di canto del cigno per i movimenti di sinistra che di lì a poco avrebbero raggiunto un’impasse o un’estremizzazione violenta e solipsistica, ad esempio con i fatti dell’Asama Sanso del 1972, che furono fra l’altro anche un punto di svolta per il modo in cui vennero trasmessi in televisione. Ma la conferenza fu un «canto del cigno» anche per Mishima stesso: lo scrittore poco più di un anno dopo si sarebbe tolto la vita in un atto che paradossalmente avrebbe dato ragione a Oshima. Il suicidio rituale messo in atto occupando il palazzo del Ministero della Difesa con un gruppo di «discepoli» del suo Tate no kai, fu anche, se non soprattutto, un’estrema, tragica e ultima performance spettacolarizzante.

Interessante notare come molti dei giovani studenti che discussero con Mishima abbiano in seguito intrapreso una carriera accademica. Uno dei più lucidi, Masahiko Akuta, ora un apprezzato drammaturgo, è quello che ancora oggi viene più ricordato, perché per la maggior parte della discussione teneva in braccio la sua piccola figlia. La bambina, come è stato fatto notare da molti, è paradossalmente una delle poche figure femminili presenti nel dibattito: ciò che manca in questo evento è infatti proprio la presenza di donne. Ma questo è un problema che ha caratterizzato molta parte della stagione delle proteste e delle rivolte giapponesi a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, e rappresenta uno dei maggiori fallimenti dei movimenti di sinistra del periodo.

LE IMMAGINI del dibattito del 1969, da poco ritrovate e restaurate, e quelle di Mishima sul balcone che proclama le sue ragioni prima di togliersi la vita, formano la parte centrale di Mishima: The Last Debate, un documentario diretto da Keisuke Toyoshima che ritorna su uno degli eventi di quel periodo che più sono rimasti impressi nell’immaginario del Paese.

Il lavoro si serve anche di alcune interviste con studiosi o con chi a quella conferenza era presente, per riflettere, a distanza di più di cinquant’anni, sul significato che quel dibattito riveste ancora oggi e sulla figura complessa ed affascinante di Mishima. Il documentario è uscito nelle sale del Sol Levante lo scorso 20 marzo, ma vista la situazione causata dal Covid 19 e con i cinema deserti ( lo stato di emergenza è stato dichiarato con incredibile ritardo solo ieri dal primo ministro Abe e solo per alcune prefetture) rimane per ora un’opera fantasma.