Simone Zoppellaro ha scritto sul manifesto di questo periodo a cavallo tra il 2015 e il 2016 per l’Armenia.

Un anno importante nel quale si è celebrato il centenario del Genocidio, commemorato a Yerevan con manifestazioni e concerto dei System of a Down, famosa band rock armeno-americana e durante il quale si è ripreso a sparare – con parecchi morti – nel Nagorno Kakabakh.

Si tratta di un conflitto dimenticato, una guerra per un fazzoletto di terra tra armeni e azeri. In teoria quel territorio oggi dovrebbe essere considerato armeno, ma nessuno ha riconosciuto la Repubblica del Nagorno Karabakh e quindi di volta in volta riecco gli spari, che via via sono diventati più «moderni»: dalla guerra di trincea si è passati ai droni israeliani (usati dagli azeri).

Rimangono i ragazzi mandati in questo strambo «fronte» e naturalmente i morti. A Stepanakert, la capitale del Nagorno e nei villaggi al confine con l’Azerbaigian, si è dunque interrotta quell’atmosfera di parziale ripresa che si respirava quattro o cinque anni fa. Quando la guerra era ferma, quando le città al confine erano un ammasso di detriti, calpestate dallo scontro di tank ancora bruciati e ben visibili sul campo a dimostrazione di cosa era successo, mentre a Stepanakert si provava a vivere con una sensazione di «normalità» addosso. Oggi tutto questo è di nuovo in discussione.

Il Caucaso, terra di lingue etnie e civiltà, culla di tutto e di una passata e meravigliosa convivenza. E per l’Armenia c’è anche quella beffa atroce, di vedere al di là del proprio confine il proprio simbolo, l’Ararat.

L’Armenia è collegata solo a Georgia e Iran, perché dalla Turchia (e per la Turchia) e dall’Azerbaigian non si passa. Ma Georgia e Iran offrono poco in termini commerciali e allora ecco la storia che ritorna: si guarda alla Russia (cinque anni da Tblisi a Yerevan ho impiegato quasi sette ore in treno, per fare circa 300 chilometri). Yerevan oggi che città è?

L’Armenia oggi che paese è? Simone Zoppellaro in Armenia oggi, drammi e sfide di una nazione vivente, (Guerini e Associati, 9,50 euro) si concentra su queste domande, attualizzando la celebre diaspora armena – gli armeni sono ovunque – e fissandola nel suo attuale contenitore nazionale. Il lavoro presentato nel volume è frutto di chilometri e incontri, di studio e interviste, di visite e chiacchiere.

Ne emerge un paese ex sovietico ancora in orbita russa, un elemento dirimente per analizzare il paese, in mano a oligarchi e nel quale oltre il 40% della popolazione vive con meno di due dollari al mese.

Un paese povero in cui la sonnacchiosa e «francese», a tratti, Yerevan costituisce una minima visuale di quella vita semplice ma colta, che si potrebbe vivere in Armenia. Se non ci fossero oligarchi e un controllo economico russo che pure porta sorprese.

Come «Electric Yerevan», la protesta dell’anno scorso scoppiata a seguito dell’aumento, del 16%, delle bollette elettriche (da parte di una compagnia privata russa, naturalmente).

Un’azione che ha ottenuto poco, come ha raccontato Zoppellaro sul manifesto e nel suo libro, ma che ha dato l’idea di una vitalità ancora presente.
Subito soffocata, purtroppo, da quell’assurda realtà del Nagorno che nell’aprile del 2016 ha ripreso forza, gettando tutta l’area in un nuovo buco nero.