Circolano sul web, rimbalzano su twitter. Sono le immagini di Ali Abdallah Saleh, l’ex presidente yemenita ucciso negli scontri con i ribelli Huthi. La sua colpa? Aver tradito gli Huthi offrendo ai sauditi la riconciliazione.

In cambio della fine dei bombardamenti e del blocco aeronavale che impedisce l’ingresso nel paese di viveri e medicinali di estrema necessità. Capo di stato dal 1978 al novembre 2011, Saleh era stato cacciato dalla primavera araba e la presidenza era passata al suo vice, Mansour Hadi. Tre anni fa, Saleh si era alleato agli Huthi nella speranza di tornare al potere ma negli ultimi tempi tra di loro c’erano state tensioni. In diretta tv, sabato Saleh aveva offerto ai sauditi la possibilità di voltare pagina a condizione che mettessero fine ai bombardamenti e all’embargo. Una proposta, a cui erano favorevoli i capi di numerose tribù, ragionevole dopo due anni e mezzo di guerra, 10mila morti civili e un’epidemia di colera che colpisce 900mila persone. E infatti nei giorni scorsi la popolazione di Sanaa si era schierata con l’ex presidente: non per simpatia, quanto per i danni causati dalla guerra e per la mancanza di cibo, luce ed acqua.

Traditi da Saleh, gli Huthi erano però consapevoli che a pagare il prezzo più alto del cessate il fuoco sarebbero stati loro, gli sciiti alleati dell’Iran: i dissidenti e gli oppositori arrestati dalle forze emiratine nel sud dello Yemen vengono torturati sulla graticola. Anche per questo, gli Huthi hanno deciso di non mollare. Mercoledì notte è scoppiata la guerriglia urbana. A dare manforte agli uomini di Saleh, è stata l’aviazione della coalizione guidata dai sauditi: 125 morti, 238 i feriti. Tra i due fuochi, i ribelli Huthi hanno preso di mira la residenza di Saleh. Morto lui, a Sanaa non resta nessuno dei vertici del Congresso generale del popolo, il suo partito. Nemmeno il figlio, che si trova a Riad. Ora, è possibile una rappacificazione interna, attorno agli Huthi. Ma è anche prevedibile un aumento dei bombardamenti della coalizione saudita con armi di ultima generazione made in Usa e una successiva radicalizzazione estrema nello Yemen del nord. Nel sud del paese, intanto, non è consentito al presidente Mansour Hadi di fare ritorno. A impedirlo sono gli Emirati, che non hanno alcuna intenzione di andarsene sebbene nel sud dello Yemen non ci siano gli Huthi e quindi non ci sarebbe motivo di restare. Ad Aden svetta la bandiera degli Emirati e ci sono i poster degli emiri e non certo di Mansour Hadi, presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Sono gli Emirati a controllare il porto e l’aeroporto di Aden, le prigioni e i campi di addestramento. Al tempo stesso, corre voce che gli Emirati vogliano trasformare l’isola di Socotra in un resort a cinque stelle. In un prossimo futuro, la partizione dello Yemen è quindi evidente, anche se bisognerà fare i conti con la presenza sia di al-Qaeda sia dell’Isis.

In questo quadro complesso, è da escludersi un sostegno diretto da parte delle forze armate di Teheran: gli iraniani non hanno soldati in Yemen, non hanno impegnato l’aviazione nella penisola araba e non hanno alcuna intenzione di soccorrere gli Huthi che sono sì sciiti ma sono arabi e appartengono alla setta più vicina al sunnismo. In Yemen come altrove in Medio Oriente, la dicotomia tra sciiti e sunniti non spiega la complessità e in particolare due fattori. Il primo è l’emancipazione cercata in questi decenni dalle comunità sciite del Medio Oriente. Ricerca vana nel caso del Bahrein, dove la primavera araba è stata soffocata dai carri armati sauditi con la connivenza dell’Occidente perché nell’arcipelago si corre la Formula Uno e a cinque minuti da piazza delle Perle, nella capitale Manama, è ormeggiata la quinta flotta statunitense.

Ricerca vana anche nella regione orientale dell’Arabia Saudita ricca di petrolio, dove si concentra il 15% della popolazione saudita che professa l’Islam nella declinazione sciita. Il secondo fattore di complessità è la rivalità tra attori locali e in particolare tra l’Arabia Saudita e la Repubblica islamica dell’Iran. Nel caso dello Yemen, se l’Iran ha concesso agli Huthi un qualche sostegno, probabilmente finanziario e tecnico, non è solo per motivi confessionali ma anche per coinvolgere i sauditi in una guerra che non avrebbero potuto vincere.