I governi italiani passano, l’export all’Arabia saudita delle bombe prodotte in Sardegna rimane. Eppure la petromonarchia, che con vari alleati dal marzo 2015 porta avanti una devastante guerra in Yemen, non potrebbe ricevere armi italiane: lo vieta (oltre alla Costituzione) la famosa e disattesa legge 185/90.

Così, per l’ennesima volta, pacifisti di Sardegna pulita (che si battono per la riconversione della fabbrica di Domusnovas gestita dalla Rwm) e di Rete No War (mobilitata fin dall’inizio dei raid sullo Yemen) hanno manifestato a Roma con attivisti dei Cobas e Donne in nero contro i «crimini contro l’umanità compiuti con bombe fabbricate a Domusnovas».

Stavolta il presidio ha preso di mira il ministero degli esteri dal quale dipende l’Unità per le autorizzazioni materiali di armamento (Uama). Un cartello elencava tutti i muti nelle istituzioni italiane, invano interpellati da Sardegna pulita: «Il presidente del Consiglio: tace. Il presidente della Camera: tace. La presidente del Senato: tace. Il ministro Salvini: tace. La ministra Trenta: tace. Il ministro Moavero: tace. Il ministro Costa: tace».

E dunque, ha spiegato il sindacalista sardo Angelo Cremone alla risicata stampa presente, «siamo qui per chiedere all’Uama, organo tecnico, a quale quadro normativo faccia riferimento quando continua ad autorizzare legalmente la vendita delle bombe a Riyadh da parte della Rwm, mentre dovrebbe revocare la licenza».

L’Uama non ha risposto alla richiesta di incontro. Né sembra esserci una volontà governativa di esaminare i progetti di lavoro alternativo per i dipendenti della fabbrica nel Sulcis. Spiegazione? «I petrodollari comprano il silenzio del mondo», recitava il cartello di un manifestante. E un altro: «La democrazia Usa-Ue: per l’Arabia saudita armi, per il Venezuela sanzioni e golpe».