«In verità Noi vi abbiamo creato da un maschio e una femmina, e abbiamo fatto di voi popoli e tribù». Così recita il Corano, al capitolo 49 versetto 13 spesso citato per attestare la distinzione tra popoli e tribù. Una differenza non marginale, in un Paese come lo Yemen caratterizzato ancora oggi da una forte componente tribale, con «tribù che difendono con fierezza la loro indipendenza e seguono leggi consuetudinarie ben più severe della sharia (legge islamica) in vigore nelle città yemenite, in particolare per quanto riguarda gli omicidi e le offese personali», scrive Giovanni Canova che in Yemen era stato negli anni Ottanta per partecipare a diverse missioni di ricerca.

LE FOTOGRAFIE
Già professore a Ca’ Foscari e poi all’Orientale di Napoli, Canova è autore delle fotografie in bianco e nero raccolte nel volume Yemen: vita di villaggio 1982-1986 (Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 2019, pp. 142) ed esposte fino a domani sera alla Galleria PUK di Castelfranco Veneto (orario 16-20). Dopodiché saranno in mostra a Macerata (a fine marzo) e a Pieve di Cadore (a fine maggio). Il catalogo e la mostra sono suddivisi in sezioni: i villaggi e gli insediamenti, la gente, l’acqua e l’irrigazione, l’agricoltura e le coltivazioni di sorgo e qat, gli animali, il cibo condiviso con parenti e amici, i cortei di nozze, la musica e le danze tribali al ritmo dei tamburi con la janbiyya (il tradizionale pugnale ricurvo) e la spada, i segni del tempo con le iscrizioni in caratteri himyariti nei santuari visitati dalle donne che portavano offerte votive per avere figli.

LA GUERRA
Lo Yemen visitato da Giovanni Canova negli anni Ottanta non è lo Yemen di oggi: la guerra scatenata dall’Arabia Saudita nel marzo 2015 ha causato la morte di oltre centomila civili e ha stremato 22 milioni di abitanti. Sono in disperato bisogno di cibo e medicine, ma le organizzazioni non governative non possono consegnarle a causa del blocco aereonavale imposto dal principe ereditario saudita Muhammad bin Salman. Della crisi in Yemen, la più grave del pianeta, il mondo non sembra accorgersi. Né ora né qualche anno fa: «La TV non diceva niente, lo Yemen come al solito non faceva gola a nessuno. Per l’ennesima volta una capitale in Medio Oriente veniva bombardata e a malapena circolavano notizie». Con queste parole Giorgio Trombatore commentava la mancata reazione dei media occidentali al bombardamento saudita di una cerimonia funebre nella capitale yemenita Sana’a. Era l’8 ottobre 2016. Centinaia i morti. I video del massacro circolavano su YouTube, Facebook e Twitter. Se le emittenti arabe hanno l’abitudine di mandare in onda immagini senza filtri, le televisioni europee ignorano la guerra in Yemen.

I PROTAGONISTI
In questo paese della penisola araba Giorgio Trombatore ha lavorato a lungo per la cooperazione internazionale. Quella esperienza viene raccontata, insieme a quelle in altri paesi, nel volume Nelle terre di Nod (Linkedizioni, Lamezia Terme, 2019, pp. 200, euro 14). Un libro che è testimonianza di vita vissuta intrecciata a numerose citazioni letterarie. Protagonista è la resilienza dei protagonisti, come nei paragrafi in cui Trombatore racconta i preparativi del matrimonio del suo autista: «Grande e grosso, Bassam arriva in ufficio con un gran sorriso sulle labbra: la madre gli aveva organizzato il matrimonio con una cugina. Ci mostrò la fotografia della sposa: sembrava una bambina, piccola e magrissima. Bassam fu come colpito da un incantesimo e prese persino appuntamento con un dietologo per arrivare al matrimonio in gran forma».

Lo Yemen è un paese distrutto dai sauditi e dai loro alleati. Se le truppe di Riad hanno messo a ferro e fuoco uno dei paesi più belli al mondo, il pretesto è che nel 2015 nella capitale Sana’a avevano preso il potere le milizie Houthi, di fede sciita e quindi ritenute ideologicamente vicine all’Iran anche se professano lo sciismo zaidita e non quello duodecimano. Un governo sciita in un angolo della penisola araba a maggioranza sunnita avrebbe potuto solleticare le ambizioni degli sciiti del regno saudita residenti nella provincia orientale, ovvero nell’area più ricca di petrolio: finora soffocate nel sangue, se avessero trovato spazio sulla scia delle primavere arabe le loro pretese di autonomia avrebbero potuto privare le autorità centrali di Riad di cospicue risorse energetiche.

Per questo motivo il principe ereditario saudita Muhammad bin Salman ha dato ordine di bombardare Sana’a, patrimonio dell’umanità. A distanza di cinque anni, i sauditi non hanno vinto la guerra, lo Yemen è distrutto e la popolazione in ginocchio. Se è impraticabile far arrivare aiuti umanitari a causa del blocco aereo navale, è altrettanto impossibile effettuare transazioni finanziarie. Con le loro bombe intelligenti, prodotte dai paesi occidentali, i sauditi e la loro coalizione colpiscono anche siti archeologici e musei con l’obiettivo di distruggere l’identità nazionale del popolo yemenita.