Chissà chi l’ha introdotto mai, nel ciclismo, il fair play, questa variante sportiva del politicamente corretto ad uso e consumo dei vincitori, o dei potenti. Dicono sia stato Merckx, ma solo a fine carriera, quando la fame del cannibale fu sazia, e si sentì in dovere di restituire qualcosa a Gimondi, che più di tutti aveva tartassato. Giro del ’76, Felice cade in maglia rosa, Eddy impone al gruppo recalcitrante di attendere il rientro dell’amico disarcionato.

Chi proprio alle logiche del fair play non cedette fu Stephen Roche, dieci anni dopo, o giù di lì. Al Giro dell’87 in maglia rosa c’era Visentini, suo compagno. Nel saliscendi verso Sappada l’irlandese lo attaccò più volte, all’italiano spaesato e incazzato con Boifava in ammiraglia, stranamente latitante, cedette la testa prima ancora delle gambe. Perse quel Giro, assieme alla passione per la bicicletta. Da allora, Sappada è sinonimo di tradimento.

O non fu, per caso, l’ultima insubordinazione ad una filosofia che ha poi via via ingessato questo sport? Ai tempi degli eroi, la foratura dell’avversario significava momento buono, più ancora di una pendenza arcigna, per muovergli l’attacco. Ma queste son bazzecole, in confronto al pugno in volata di Gerbi a Garrigou che regalò la Milano-Sanremo a Petit-Breton (il diavolo rosso, sapendosi battuto, gliel’aveva venduta); o allo stesso Garrigou, che dovette correre in incognito al Tour per sfuggire all’ira dei normanni, dopo l’avvelenamento sospetto di Duboc; o ancora a quella Citroën nera che mise nel mirino Bartali al Tour del ’50, e quindi tutti a casa, gli italiani, con Magni in maglia gialla.

A Sappada si arriva anche oggi, dopo la partenza da Tolmezzo. Tre Croci, Passo Sant’Antonio e Bosco dei Giavi, uno dietro l’altro nel finale, shekerano la fuga e la risputano verso il gruppo. All’imbocco del Bosco Froome appare imballato (ma che gli salta in mente, a questi, di non rispettare il copione di tregua che chissacchì aveva scritto?) e perde un metro dietro l’altro. Se ne accorge Yates, che prova a fare la differenza che ieri non c’era stata sullo strombazzato Zoncolan. All’inseguimento si mettono Pinot, Carapaz, Lopez, Pozzovivo e Dumoulin. Ma, più occupati come sono a mandarsi a quel paese l’un l’altro che a collaborare, la maglia rosa fila via in un capolavoro tattico prima ancora che fisico. Mentre i polli di Renzo litigano quindi per finire primi dei battuti, più avanti il Cavaliere Yates, incurante, vince la tappa e si veste sempre più di rosa.