Lo Stato Islamico si è parzialmente ritirato dal campo profughi palestinese di Yarmouk: ieri funzionari palestinesi e residenti del campo hanno dato la notizia. Centinaia di miliziani avrebbero fatto marcia indietro, ritirandosi nel vicino sobborgo di Hajar al Aswad, a 4 km da Damasco, da cui era partita l’offensiva contro Yarmouk il primo aprile.

Nel campo resta al-Nusra, accusato dai palestinesi di Yarmouk di aver permesso l’ingresso del califfato – pur dichiarandosi ufficialmente neutrale – e di aver combattuto al fianco degli islamisti per fermare la resistenza dei gruppi armati palestinesi e l’esercito siriano.

«Molti si sono allontanati a seguito degli scontri con gli avversari», racconta un residente di Yarmouk alla Reuters, Abu Ahmad Hawari. Fazioni divise in passato, ma di nuovo unite dalla minaccia islamista: a combattere l’Isis sono stati i gruppi palestinesi sia vicini al presidente siriano Assad come il Fronte Popolare – General Command (Pflp-Gc), che milizie a lui avverse, a partire da Aknaf Beit al-Maqdis legata ad Hamas.

E se al-Nusra resta ora il gruppo più potente dentro Yarmouk, la ritirata dell’Isis viene festeggiata dai palestinesi come una vittoria propria. Lo dice Khaled Abdul-Majid, capo del Fronte per la Lotta Popolare, esterno all’Olp: le fazioni palestinesi hanno costretto l’Isis a cedere. Diverse le dichiarazioni del portavoce del Pflp-Gc, Anwar Raja, secondo il quale il ritiro non è completo e gli scontri continuano, mentre il numero dei residenti diminuisce ogni giorno di più: dei 160mila rifugiati presenti prima del 2011, prima dell’assalto dell’Isis ne rimanevano 18mila. E oggi, dice il ministro dell’Informazione siriano, «non superano i 6mila».

Alla finestra restano le agenzie internazionali, a partire dall’Unrwa che ha tentato più volte di entrare a Yarmouk per portare aiuti umanitari. Finora solo la presenza dell’esercito governativo all’ingresso settentrionale del campo ha permesso la fuga dei civili intrappolati nel campo e il loro soccorso.

E se a Damasco l’Onu coopera parzialmente con il governo siriano per fornire assistenza alla popolazione, a New York l’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, rilancia il piano per far ripartire i negoziati politici. De Mistura punta ad un dialogo a tu per tu tra i vari attori regionali e internazionali, «consultazioni separate con chiunque abbia influenza nel conflitto», precisa il portavoce Onu Dujarric. Tra questi l’Iran, sostenitore di Assad e considerato da più parti – Russia in primis – fondamentale per porre fine alla crisi.

Il nuovo round di negoziati faccia a faccia – dopo il flop del dialogo tentato da Mosca e disertato dalle opposizioni moderate – si dovrebbe aprire a maggio a Ginevra. L’ennesima Ginevra e l’ennesimo fallimento se le precondizioni dettate dagli Usa e alleati, dalla Turchia all’Arabia Saudita, non cambieranno e se la debole Coalizione Nazionale insisterà nel chiedere la testa di Assad, ignorando gli equilibri sul campo.