La Shochiku è una delle case di produzioni giapponesi più longeve e di successo, quella che ha prodotto, fra le altre cose, anche film di Yasujiro Ozu, Keisuke Kinoshita, Mikio Naruse, Hiroshi Shimizu e Yoji Yamada. Quest’ultimo, novant’anni il prossimo settembre, è anche colui che, grazie ai quarantanove film della serie Tora-san, da lui realizzati fra il 1969 ed il 1995, contribuì a mantenere a galla la compagnia durante gli anni settanta e ottanta, quando il cinema del Sol Levante attraversò un periodo di crisi. Yamada è stato spesso chiamato dalla Shochiku per celebrare anniversari e date speciali, e non poteva essere altrimenti anche questa volta, quando l’anniversario è davvero importante, infatti nel 2020 si sono celebrati i primi cento anni della compagnia.

L’anno scorso però colui che doveva essere il protagonista del film celebrativo di Yamada, Ken Shimura, è tragicamente stato la prima vittima illustre della pandemia in Giappone. Questa disgrazia unita alla situazione assai difficile in cui tutto il movimento del cinema si è trovato a causa del Covid-19, ha ritardato le riprese del film che alla fine si è fatto lo stesso, con un diverso protagonista naturalmente e con una storia che in parte riflette anche il periodo in cui il lungometraggio è stato girato.

Il film si intitola Kinema no kami sama, titolo internazionale It’s a flickering Life, ed è uscito nelle sale dell’arcipelago alcuni giorni fa. Il numero dei contagiati sta però aumentando esponenzialmente in tutto il Giappone e specialmente a Tokyo, e non si sa ancora come questo influenzerà la gestione dei teatri e quindi ancora per quanto tempo il film resterà in visione. Come già con Kinema no tenchi del 1986, Yamada affronta il tema del cinema del passato adattando per il grande schermo un libro di successo di Maha Harada. Il film racconta la storia di Go, un settantottenne fallito e giocatore incallito in brutti rapporti con la moglie e la figlia divorziata. Assieme alla moglie e all’amico Terashin, gestore di un piccolo cinema di periferia, prova a mettere in sesto la sua vita ricordando quando, quasi mezzo secolo prima, i tre erano parte del vibrante mondo del cinema giapponese del dopoguerra. La narrazione si svolge quindi su due piani temporali, il presente, in cui anche la pandemia è parte di alcuni snodi importanti dell’azione, ed il passato quando i tre giovani ed il loro gruppo di amici e colleghi cercano di realizzare i loro sogni nel mondo della settima arte.

La differenza estetica tra questi due piani temporali è piuttosto marcata e ciò che funziona meglio nel lungometraggio è tutta la parte ambientata negli studi della Shochiku, con chiare allusioni al periodo d’oro del cinema giapponese, quello vissuto anche da Yamada in giovanissima età, prima come spettatore e poi come aiuto regista o sceneggiatore. I colori, le luci, e l’atmosfera di vivacità e di speranza che animano tutte le scene si riflettono anche nelle prestazioni degli attori, specialmente Masaki Suda che interpreta in modo molto convincente il giovane Go, aiuto regista con grandi idee per il futuro del cinema. Purtroppo tutta la parte ambientata nel tempo presente lascia un po’ a desiderare, ci sono i classici momenti di ilarità e anche quelli strappalacrime, il tempo che passa e che cambia tutto, che caratterizzano tutto il cinema di Yamada, ma sembra che manchi qualcosa a tenere assieme il tutto. Nonostante gli attori siano nomi affermati come Kenji Sawada, Nobuko Miyamoto e Shinobu Terajima, la pandemia e tutti i problemi avuti in fase di produzione hanno contribuito a sfilacciare qualcosa che, nei piani di Yamada, doveva essere forse più omogeneo.