Quando nel 1868 in Giappone iniziò ufficialmente il periodo Meiji, molti dei cambiamenti che sarebbero in seguito stati associati con questa nuova epoca, erano in verità già sbocciati nei decenni precedenti. Fra le svariate riforme politiche e sociali che cambiarono l’arcipelago per renderlo «moderno» ed al passo con le altre potenze industriali mondiali, molte toccarono gli aspetti religiosi. Lo Shintoismo con al centro l’imperatore divenne la religione ufficiale del paese ed una delle pratiche religiose che fu bandita fu quella dei cosiddetti Yamabushi, monaci che praticavano una forma di ascetismo a stretto contatto con le montagne.
La dottrina più seguita e praticata da questi eremiti era lo Shugendo, teorie sincretiche nate intorno al settimo secolo e che fondevano elementi sciamanici con quelli di certo buddismo esoterico. Al centro di queste pratiche ascetiche spirituali che variavano di luogo in luogo c’era comunque sempre la montagna, specialmente alcune in particolare che sono considerate ancora oggi sacre. Benchè di fatto abolita, questa pratica religiosa è sopravvissuta nei secoli, talvolta anche in maniera molto segreta e clandestina ed uno dei pochi luoghi dove si possono vedere od incontrare ancora gli Yamabushi è la prefettura di Yamagata, nel Giappone settentrionale.

Qui si trovano le tre montagne di Dewa: Haguro, Gassan e Yudono, uno dei luoghi considerati più sacri dall’insieme di pratiche religiose che erano presenti nell’arcipelago prima dell’arrivo del buddismo e della conseguente unificazione sotto l’unico nome Shinto. In questa zona dagli inverni freddi e dove è scarsa la presenza umana, ricordiamo che la maggior parte della popolazione giapponese vive in una manciata di metropoli, e che più del sessanta per cento del territorio è coperto da montagne, si possono vedere ancora oggi camminare con la loro tunica bianca questi eremiti. Proprio qui il fotografo e giornalista tedesco Fritz Schumann ha realizzato un breve documentario con protagonisti i pochi Yamabushi rimasti che continuano a portare avanti questa tradizione. La guida spirituale è un anziano maestro la cui famiglia, da più di dieci generazioni, porta avanti la via degli Yamabushi, vestito di bianco con la proverbiale barba lunga gira fra le montagne suonando uno strumento a fiato ricavato da una conchiglia marina. Quasi una figura tratta da un libro di illustrazioni, in realtà scopriamo, attraverso le parole di un più giovane discepolo, che il maestro è un misto di alto e basso, la parte ascetica e spirituale è infatti bilanciata da una molto terrena e quasi corporale.

Il breve video (disponibile online all’indirizzo https://vimeo.com/311714692) è interessante non certo per meriti artistici, ma perché presenta un aspetto poco conosciuto del Sol Levante. Le parole del discepolo più giovane, sposato con figli ma che improvvisamente decide di darsi a vita ascetica, pur continuando ad incontrare la famiglia ad intervalli regolari, è abbastanza emblematica di certa insoddisfazione verso lo stile di vita moderno. Impiegato in una compagnia e legato ad una routine quotidiana casa, ufficio e computer, l’uomo incontra per caso la pratica ascetica degli Yamabushi e decide di provarla, senza riuscire più a tornare indietro. L’attenzione che questa religione riserva al dolore fisico ed alla fatica esperite nella vita fra le montagne, riporta così in primo piano come la corporeità e la fisicità della vita umana siano elementi necessari per l’ottenimento di una vita spirituale.

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