Non ci sono altri videogiochi seriali con la stessa consequenzialità diegetica e la coesione di Ryu Ga Gotoku, la saga di Sega che in occidente è conosciuta come Yakuza. Tanto che risulta avvilente per il suo intreccio narrativo esperire i suoi sette lunghi episodi usciti nell’arco di quindici anni in un ordine che non sia cronologico, sebbene ognuno degli episodi di Yakuza sia comunque godibile in maniera indipendente e possieda le proprie caratteristiche uniche. È da considerarsi quasi fortunato quindi il giocatore che vi si è avvicinato tardivo, l’anno scorso, cominciando dall’episodio numero 0, uno straordinario preludio che racconta gli eventi che porteranno al primo episodio, del quale è uscito un recente remake per Playstation 4, ovverosia Yakuza Kiwani, che sarà seguito alla fine di quest’estate dal rifacimento del numero 2.

Il terzo, il quarto e il quinto episodio, usciti originariamente sulla terza console di Sony, verranno invece presto rimasterizzati per la quarta. Insomma, chi non ha mai giocato a Yakuza avrà così l’occasione di godere di questa epopea nel migliore dei modi in un futuro prossimo, potendo apprezzare così tutta la potenza narrativa di un romanzo criminale virtuale nel quale confluiscono il cinema di Kinji Fukasaku, Suzuki Seijun o Takeshi Kitano narrato con l’epica famigliare di un Mario Puzo nipponico.

VITA DA BULLI
Per chi ha invece giocato la serie in maniera rigorosa dal 2005, l’anno in cui uscì in occidente il primo Yakuza per Playstation 2, purtroppo l’unico con il doppiaggio solo in inglese e senza l’opzione di selezionare lo straordinario audio originale, è uscito il sesto episodio, intitolato The Song of Life. Si tratta del capitolo che conclude l’epopea di Kazuma Kiryu, protagonista assoluto di tutta la saga, un criminale anomalo, cavalleresco, dalla parte dei deboli e con un rigoroso senso della giustizia e dell’onore. Kiryu è un antieroe tormentato dalla propria etica e dalle sue radici, alla ricerca di una redenzione che talvolta sembra impossibile, un personaggio di rara e nobile gentilezza la cui vita da gangster è al confine tra il rifiuto e l’ambizione; la sua naturale affiliazione alla Yakuza è sempre in crisi, e dai suoi clan egli è più volte allontanato, sebbene sia ritenuto un uomo dalle qualità eccezionali.

Kiryu è come un grande samurai di Akira Kurosawa e non uno dei criminali dell’occidentale e distante Grand Theft Auto, la serie di Rockstar Games alla quale qualcuno, ingenuamente, accostò il primo Yakuza all’alba del suo lancio. Tra la saga di Yakuza e la serie di Grand Theft Auto non c’è corrispondenza alcuna ed è un errore grossolano ritenere la prima un’imitazione nipponica della seconda.
Yakuza 6 è davvero una canzone della vita, non solo quella del neonato a cui Kiryu dovrà badare, perché sua madre Haruka è stata quasi uccisa durante un incidente stradale, ma di tutti i personaggi e i luoghi che hanno popolato con tanto slancio vitale una saga che come poche altre ha restituito il racconto corale di un epoca, della sua gente e del suo spazio.

Come gli altri episodi questo sesto capitolo comincia con una magnifica lentezza (se si esclude un incipit riassuntivo che racconta il finale del quinto capitolo) che è quella del cinema più quieto, quella che ci consente di guardare e di giocare con gli occhi, amplificata ulteriormente dalla ritmica più dilatata dei videogiochi. Poi, come sempre, le nuvole del melodramma si addensano per scatenare tragiche tempeste e l’empatia con Kiryu assume proporzioni smisurate, soprattutto per chi ha vissuto tutta la sua lunga storia. Inoltre in Song of Life c’è la presenza gigantesca di  Takeshi Kitano. Il carisma del regista di Sonatine e la sua plastica, tremante bellezza non vengono penalizzati dal processo di digitalizzazione del suo sembiante.

TOKYO E HIROSHIMA
Cammineremo ancora per Kamurocho, quartiere fittizio di Tokyo ispirato a Kabukicho, zona a «luci rosse» all’interno di Shinjuku. È tra le strade sempre percorse, mai vuote di vita a qualsiasi ora del giorno e della notte, che si consuma la maggior parte di eventi della serie inventata da Toshihiro Nagoshi, viali e vicoli illuminati dalla luce artificiale di neon policromatici, accecanti anche quando bagnati dalla pioggia o oscurati dal buio, chiassosi di musica e voci. Ma viaggeremo anche a Hiroshima, un pellegrinaggio simbolico e inevitabile nel luogo dove termina dolorosamente il Giappone «antico», per poi risorgere moderno dalle sue ceneri radioattive.

E camminando si fa a botte, perché l’attività ludica dominante di Yakuza sono i pugni e i calci, quasi come in un picchiaduro. Kiryu si fa largo tra criminali, bulli e rissosi menando le mani con la grazia di un Bruce Lee del Sol Levante e la potenza di Bud Spencer, ma non uccide, come Batman. Tuttavia non bisogna pensare che Yakuza sia una serie videoludica improntata soltanto sulla lotta, perché in ogni suo episodio ci sono decine di altri giochi, talvolta «veri» perché quando entriamo in una sala giochi possiamo giocare agli intramontabili classici di Sega come Space Harrier o Virtua Fighter.

Ci sono il karaoke che trasforma le dinamiche da gioco ritmico in un’impressionante esperienza visiva e sonora, la gestione strategica di locali notturni e altre attività, le corse sfrenate con i modellini di automobili o la passività voyeuristica dei video soft-erotici delle «idol». In Yakuza 6 possiamo inoltre assemblare un squadra di baseball, praticare la pesca subacquea o gestire un clan di combattenti. Ma ciò che differenzia la saga da ogni altra è la varietà e la dignità letteraria delle missioni secondarie, novelle che fungono da digressioni all’interno del romanzo della saga, racconti esemplari che restituiscono un’immagine neorealistica del Giappone e rendono vibranti di esistenze e plausibili le ambientazioni. È necessario aggiungere che per godere della trama di Yakuza è importante una buona conoscenza dell’inglese o della lingua giapponese, perché non ci sono sottotitoli in italiano.

OPERA DI CULTO
Quella di Yakuza è una saga monumentale che sta assumendo la dimensione di opera di culto anche in occidente, dove è sempre restata reclusa in un’immeritata nicchia, tanto che lo «spin-off» detto Ishin ambientato nell’epoca Bakumatsu (metà del 1800) non è purtroppo mai uscito dal Giappone. Per la delizia del cinefilo c’è anche un notevole film di  Takashi Miike del 2007 ispirato al primo Yakuza, reperibile in una versione d’importazione, perché non è mai stato distribuito in Italia.

Conclusa l’epopea di Kazuma Kiryu la saga di Yakuza andrà avanti in futuro, narrando la cronaca di un nuovo personaggio, ma la sua storia e quella di tutti coloro, malvagi o benevoli, che l’hanno popolata resterà tra le migliori e più appassionanti mai narrate dai videogiochi, un racconto dal Giappone oltre il bene e il male, vero anche quando iperbolico nell’illustrazione del dramma, violentissimo eppure soffuso di una dolce tenerezza, epico e talvolta comico. Una Chanson de Geste sorta e tramontata alla luce rosseggiante del Sol Levante.