Ancora una volta Moshe Yaalon ha ingranato la retromarcia. Il ministro della difesa di Israele ieri ha presentato le scuse per i commenti acidi che ha (di nuovo) rivolto alla politica estera americana verso l’Iran e il resto del Medio oriente. «I miei commenti non sono tesi a sfidare o criticare, nè hanno intenzione di offendere gli Usa e le loro relazioni con Israele», ha detto Yaalon, parlando al telefono con il suo omologo statunitense Chuck Hagel. «Il rapporto strategico tra Usa e Israele – ha aggiunto – è di massima importanza, così come le personali relazioni e i comuni interessi». Il passo indietro arriva dopo la bufera diplomatica innescata dalla dura protesta di Kerry, già accusato a gennaio dal ministro della difesa israeliano di essersi impegnato nelle trattative con i palestinesi in maniera «ossessiva e messianica», solo per prendere il Premio Nobel per la Pace.
Se a gennaio causa dei commenti offensivi di Yaalon fu la proposta fatta dal Segretario di stato di dispiegare, nel quadro di un accordo con i palestinesi, truppe internazionali lungo la frontiera tra Cisgiordania e Giordania (Israele invece vuole i suoi soldati nel territorio del futuro Stato di Palestina), stavolta è l’Iran al centro delle dichiarazioni del ministro della difesa israeliano. ««Abbiamo pensato che gli unici a dover guidare una campagna contro l’Iran dovessero essere gli Usa. Poi sono entrati in negoziati (con Tehran). Se negozi nel bazaar persiano, gli iraniani sono più bravi», ha affermato Yaalon a inizio settimana all’Università di Tel Aviv. Il ministro ha anche detto che l’aiuto militare dato sino ad oggi dagli Stati Uniti a Israele «non è stato un favore ma è avvenuto nell’interesse di Washington». Il ministro della difesa è arrivato anche a criticare la gestione americana, a suo dire «debole», della crisi ucraina.
In realtà l’Amministrazione Usa si mostra debole in Medio Oriente soltanto nel suo rapporto con Israele, che può permettersi di rivolgere accuse e offese pesanti agli alleati americani senza subire alcuna conseguenza. In ogni caso Yaalon non è certo isolato nel governo israeliano. Nonostante Barack Obama non abbia fatto nulla per risolvere, sulla base del diritto internazionale, i conflitti mediorientali, a cominciare da quello israelo-palestinese, l’Amministrazione Usa in carica è sempre stata osservata con sospetto dal governo Netanyahu e dalla porzione più consistente della popolazione palestinese. Israele vuole fatti – ossia ultimatum, minacce, attacchi militari – contro la Siria e soprattutto con l’Iran mentre Washington sceglie, almeno in apparenza, la via della politica. Yaalon peraltro, dopo aver mantenuto per lungo tempo un atteggiamento prudente nei confronti del nucleare iraniano, ora è divenuto un sostenitore dell’uso della forza contro Tehran. «Se Israele – ha detto il ministro – ha sperato che altri facessero il lavoro, questo non è quello che avverrà: in questa materia dobbiamo comportarci come se non ci fosse nessuno che può stare in guardia tranne noi stessi». Parole inequivocabili sull’intenzione di Tel Aviv di lanciare, presto o tardi, un attacco militare con le centrali atomiche iraniane, a dispetto degli sforzi di Usa e Europa di trovare un compromesso diplomatico con l’Iran.
Nel frattempo si avvicina inesorabile la scadenza del 29 marzo quando dovranno essere liberati altri 30 detenuti politici palestinesi (alcuni con cittadinanza israeliana) che Netanyahu si è impegnato a scarcerare e che ora Israele vorrebbe congelare. E manca ormai poco più di un mese alla data del 29 aprile, fissata da John Kerry come conclusione delle trattative bilaterali tra Israele e Anp. I colloqui, fermi da mesi, non hanno fatto alcun passo in avanti e, in ogni caso, il conflitto non si è mai fermato. L’Olp denuncia che le forze militari israeliane hanno ucciso 56 palestinesi e ne hanno feriti 897 da quando sono ripresi i negoziati con Israele. Israele ha anche avviato la costruzione di 10.509 case per coloni. L’ultimo progetto è stato annunciato ieri: mille case negli insediamenti di Ariel, Bet El e Almog.