Vent’anni fa, in Chiapas, l’urlo zapatista nella notte di capodanno: «Ya Basta!». Adesso basta, grida un esercito indigeno, prevalentemente composto da contadini, nel sud del Messico. Dà l’assalto a quattro municipi – San Cristobal de Las Casas, Altamirano, Ocosingo, Las Margaritas – e ne occupa per poco altri tre. Poi se ne va da San Cristobal senza problemi, il 2 gennaio, evitando lo scontro con i militari, che intanto stanno bombardando le comunità. A Ocosingo e nei pressi di Rancho Nuevo, sede della più importante base militare della regione, invece, gli insorti devono combattere e subire perdite. Fa così la sua comparsa l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) e il subcomandante Marcos, con tanto di pipa e passamontagna.
L’Ezln è nato il 17 novembre del 1983 nella Selva Lacandona, fondato dal comandante German e da un manipolo di donne e uomini in maggioranza indigeni e meticci. Proviene però da un gruppo guevarista attivo nel nord del paese fin dal 1969, le Fuerzas de liberacion nacional (Fln), che si è poi radicato nel Chiapas e nelle regioni vicine dalla fine degli anni ‘70. Un’organizzazione con un classico programma marxista-leninista, che prevedeva la presa del potere politico e l’instaurazione di «una repubblica popolare e del socialismo». La storia dell’Ezln prenderà invece un’altra strada, segnando fin dai suoi primi passi una distanza dalle rivoluzioni di stampo novecentesco.
L’insurrezione, si saprà in seguito, intedeva però di estendersi ai vicini stati di Oaxaca, Tabasco e fino alla capitale, fidando nell’appoggio della popolazione. Un obiettivo, quindi, nazionale, che avanza allora undici richieste («lavoro, terra, casa, alimentazione, salute, istruzione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia, pace») ed esige la destituzione di Carlos Salinas de Gortari (il «dittatore»), eletto nel 1988 con un’enorme frode. È stato lui a portare il paese verso il Trattato di libero commercio con gli Stati uniti e il Canada (Nafta) e alla riforma dell’articolo 27 della costituzione, nel 1992. Un balzo all’indietro a prima della Rivoluzione messicana, che sancisce la fine della riforma agraria e provoca manifestazioni e marce.
Il 12 ottobre, la forza degli zapatisti è già evidente a San Cristobal de Las Casas tra le 10.000 persone che manifestano con l’Alianza nacional campesina independiente Emiliano Zapata (Anciez) e tirano giù la statua del conquistador Diego de Mazariegos. Marcos dirà poi che durante quelle mobilitazioni, tra settembre e gennaio, le comunità decidono di passare alla lotta armata e che la via della Selva ha avuto la meglio su quella urbana: il movimento – sostiene Marcos – aveva allora un ampio sostegno, però la società messicana non chiedeva agli zapatisti guerra ma pace e negoziato. Da qui la lunga riflessione dell’Ezln che lo porterà a optare sempre più per una lotta politica «che va dal basso verso l’alto», alimentata da pause e metafore, circolarità e cybercomunicazione.
Un mese dopo quella prima insorgenza prende avvio la trattativa tra governo e Ezln che porterà agli accordi di San Andrés su «Diritti e cultura degli indigeni», firmati il 16 febbraio del ’96.Un punto, però, sempre disatteso dal governo nel corso di questi vent’anni e nonostante i numerosi tentativi degli zapatisti per «andare al di là dello specchio truccato della realtà» (come disse Marcos allo scrittore Manuel Vazquez Montalban).
Intanto, quell’iniziale programma è a suo modo andato avanti nei territori autonomi zapatisti. Contro venti e maree e a dispetto della forte repressione che continua a colpire le comunità. La «maschera» del subcomandante è entrata nell’immaginario internazionale. Colto, ironico, figlio della borghesia, l’uomo con la pipa ha nel frattempo squadernato a scrittori e giornalisti i suoi giudizi politici e la sua filosofia del «camminare domandando», «in basso e a sinistra» e senza pensare a prendere il potere. In questi giorni, nel suo ultimo comunicato ha attaccato la stampa asservita ai poteri forti. E i giornalisti non possono entrare all’«escuelita» zapatista.
Intanto, il Messico è sempre nella morsa del neoliberismo. Il Nafta, i nuovi accordi del Pacifico e la svendita del petrolio pubblico sono al centro delle politiche di Peña Nieto. Le manifestazioni si susseguono. Il paese conta una quindicina di guerriglie. La più presente, l’Esercito popolare rivoluzionario (Epr), di orientamento marxista-leninista, ha anche un suo braccio legale ed è nata due anni dopo l’insurrezione zapatista. In altre parti dell’America latina, si scommette sul «socialismo del XXI secolo» messo in moto da Hugo Chávez in Venezuela. La ribellione civico-militare del Comandante, nel 92, è stato l’altro grande spartiacque di fine secolo, che ha rimesso al centro della scena gli ultimi degli ultimi. E ha riaperto la strada che sembrava chiudersi con la fine dell’Unione sovietica.