La mobilitazione popolare cresce. In Puglia nuovi soggetti si aggiungono alle numerose realtà che respingono l’eradicazione degli olivi voluta da regione, governo e UE in nome della lotta a «xylella». Il batterio che, per la stampa mainstream, sarebbe la causa del Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (Codiro).

Raccontiamo quello che accade fuori dalla vulgata comune, ascoltiamo voci diverse. Queste mobilitazioni trasversali e comuni si vanno moltiplicando – dal basso Salento a Cisternino, con decine e decine di aziende agricole a conduzione biologica, apicoltori e associazioni per la difesa del territorio – eppure raramente la stampa ne parla e quando lo fa spesso il racconto è falsato. L’accusa è di complottismo.

LA REALTA’, ANZI LE REALTA’, sono diverse. Bari, bordo città, venerdì 18 maggio, una partecipata assemblea in un orto sociale, «Campaneros», la «a» sostituisce la «o» e comprendiamo dove ci troviamo. L’orto condiviso è un esempio di biodiversità, tra le essenze locali, il pomodoro Regina, il carciofo spinoso barese, 20 olivi secolari, orticole. I partecipanti sono in egual misura giovani, anche dottorandi in agraria, pensionati ex formatori agrari. Persone con una visione chiara dell’agricoltura. Non manca una contadina brasiliana, anche lei fa parte dei movimenti di lotta, sono forti e molto radicati, come i Sem Terra, anche qui in Puglia lottano per la terra.

Margherita D’Amico, ricercatrice, da 25 anni si occupa di olivo presso l’UniBa, è biologa e patologa vegetale. Il racconto è confortato dal sapere scientifico, competente e consapevole. L’assemblea è scossa dalla notizia recente di un espianto di olivi secolari a Cisternino, in Valle d’Itria, 70 in una zona sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico. I baresi sono molto affezionati alla valle, ci vanno in villeggiatura. Abbattere quegli olivi per loro è una ferita mortale.

ANGELO CARDONE ANNUNCIA RICORSI al Tar per impedire ulteriori abbattimenti. E’ un esponente del CoSATe, il Comitato per la salvaguardia della valle. Gli espianti, afferma la dottoressa Margherita D’Amico sono insensati. In valle d’Itria e nella Piana dei Monumentali tra Fasano e Monopoli, il disseccamento non c’è, gli olivi sono sani. I disseccamenti non sono scientificamente correlati con il batterio xylella e l’eradicazione non elimina il batterio. Questo dicono, è un tam tam continuo lungo tutta la regione.
Circa venti anni fa è stato modificato il contributo all’olivicoltura erogato in base alla produzione di olive e olio. Il provvedimento serviva a sostenerla ma politica e associazioni di categoria cambiarono sistema: i contributi venivano distribuiti non più in base alla produzione ma in base al numero di piante possedute. Così gli agricoltori hanno smesso di curare l’olivo e la terra, condizione obbligatoria in assenza di controlli. L’olivo fondamentalmente è un arbusto addomesticato, un secolare curato arriva a produrre sino a cinque quintali di olive, per una resa in olio del 15%. Senza cura l’olivo torna allo stato selvatico, s’infittisce di polloni improduttivi che opprimono la chioma, diventa ricettacolo di parassiti.

I PESTICIDI, GLIFOSATE INNANZITUTTO, hanno sostituito la cura: in Salento si è stato usato fino a cinque volte di più che in tutta Italia. L’uso massiccio di erbicidi, fungicidi e pesticidi nell’ultima coltura rimasta in Salento ha portato suolo e piante a livelli prossimi al deserto. Complice anche il cambiamento climatico. La mancanza del ricambio generazionale, la mancata trasmissione dei saperi ha comportato la rottura del patto sacro nella cornice dell’antichissima cultura mediterranea. Si è interrotta la millenaria alleanza tra uomo e olivo. Ma più a nord, nelle Murge, in valle d’Itria, l’olivo è ancora curato, associato a mandorlo, fico, melograno, alberi da frutta, orti. Si chiama biodiversità.

Secondo la Fao, si è a rischio desertificazione quando la sostanza organica è al di sotto del 2%. In molte aree del Salento è tra lo 0,2% e lo 0,8%. Un fenomeno massiccio, di desertificazione anche sociale. Chimica e aggressioni ambientali hanno inaridito la terra, si può camminare con i tacchi a spillo. Una semplice pioggia causa alluvioni. Ristagni idrici e chimica imputridiscono le radici. In un quadro come questo è facile che si sviluppino microrganismi nocivi, attacchi fungini e parassitari, come il tarlo dell’ulivo e il rodilegno giallo. Xylella è solo l’ultimo in ordine di tempo, e nemmeno il più grave. L’approccio di CNR e Regione Puglia non ha nulla di scientifico, spiegano gli agricoltori impegnati nei comitati, perché combatte la malattia con ciò che l’ha causata. Riduzionismo e soluzione finale.

Questo spiega la mobilitazione sempre più crescente.

CI SONO GIOVANI AGRICOLTORI CORAGGIOSI, come Roberto Polo, che hanno intrapreso la strada opposta a quella che ha portato al biocidio e alla desertificazione. Con campi sperimentali a Nociglia (Lecce) e un approccio integrato, complessivo, rigenerativo. I risultati sono insperati. La sua è una storia esemplare. Roberto, quando era a Bologna, ha conosciuto Giusto Giovannetti, uno dei microbiologi tra i maggiori esperti al mondo dei consorzi microbici. Giovannetti, insieme al professor Emilio Stefani, partendo dagli agenti endofiti – ovvero il complesso di organismi che dall’interno stesso della pianta contribuisce a sostenerne ed arricchire le difese interne – ha messo a punto un sistema di lotta biologico che in una regione come l’Emilia, dove la frutticultura è intensiva, ha debellato il «colpo di fuoco», un agente batterico capace di bruciare in pochissimo tempo le piante infette. Roberto ha adottato questi sistemi di difesa naturali nella sua azienda e in territorio devastato dal disseccamento ed ha piante di olivo assolutamente sane. Si tratta quindi di un campo sperimentale dove le teorie «convenzionali» sostenute dagli enti di ricerca ufficiali, rinforzate dalla stampa locale, sulla necessità di trattamenti chimici massicci, trova la sua evidente smentita.

LA PROSSIMA MANIFESTAZIONE DEL 25 maggio a Bari – promossa dalle associazioni «CoSATe Valle d’Itria» e «Il popolo degli ulivi» con il supporto di una miriade di sigle del terzo settore, dell’associazionismo di base, di aziende agricole biologiche, di sindacati di base, del mondo della cultura e di docenti universitari – respinge il diktat che impone eradicazioni e pesticidi per ammazzare la sputacchina, il presunto insetto vettore. Il movimento esprime un sapere altro, contesta il sistema dei contributi, lo stato di quarantena che dura da 5 anni, i milioni di euro distribuiti agli apparati mentre gli agricoltori sono emarginati. Si contesta il decreto dell’ex ministro Martina che impone quattro irrorazioni obbligatorie fino a dicembre: un areosol di veleni su un territorio che è già devastato. La mobilitazione si appella a studi scientifici di importanti ricercatori, Almeida, Krugner, Scortichini, i quali dimostrano che l’espianto non eradica il batterio e che il disseccamento si può curare.

Il movimento pugliese è portatore di un sapere diverso, questa è solo la sintesi di una questione complessa. La lotta per la difesa del paesaggio, per la ripresa dell’agricoltura in mani giovani e consapevoli, la lotta contro i baronati schierati compatti per gli espianti, non si esaurirà presto. Le manifestazioni crescono e cresceranno ancora, perché sono lievito che cresce e genera nuova coscienza