«Il socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era», la dicitura del pensiero di Xi Jinping, è stata inserita ufficialmente nello statuto del partito comunista come «linea guida». Si tratta di una decisione storica, ufficializzata ieri alla conclusione del diciannovesimo congresso del partito svoltosi a Pechino.

Oggi verranno svelati i nomi dei membri del Comitato permanente del Politburo, gli uomini più potenti del paese: dalla composizione di quest’organo potremo capire di più circa il destino della Cina e della leadership di Xi Jinping.

Per ora Xi porta a casa la partita più rilevante da un punto di vista storico, ideologico e immaginifico. «Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era» va ad aggiungersi al marxismo-leninismo, al pensiero di Mao Zedong, alla teoria di Deng Xiaoping, alla teoria delle «tre rappresentatività» e allo «sviluppo scientifico del socialismo cinese», come è stato declamato al termine del congresso.

Questa decisione significa molte cose: intanto che Xi vede riconoscere il suo contributo ideologico in vita, come accadde solo a Mao, perché la teoria di Deng venne ammessa solo dopo la morte del leader responsabile dell’apertura della Cina al mercato mondiale.

Se poi si andasse a osservare l’enorme mole di cariche accumulate da Xi, si potrebbe perfino sostenere che Xi Jinping rappresenti a oggi il leader più potente nella storia della Repubblica popolare. Xi vede dunque riconoscersi il potere di cui ha giovato tutto il partito che con lui alla guida ha riguadagnato una fiducia popolare che sembrava persa, e riporta in auge il contributo ideologico di Mao Zedong sgonfiandolo di potenziale verve contraria alla guida del paese, come accadde con il «neomaista» Bo Xilai oggi all’ergastolo, e riportandolo in seno al partito, con quest’ultimo rinvigorito e riposto al centro del mondo politico e sociale cinese.

Oltre al suo pensiero nello statuto è stato anche inserito il grandioso progetto di «nuova via della seta» a sottolineare il peso che la politica internazionale e i suoi successi hanno avuto nell’ascesa politica – anche mondiale – di Xi Jinping.

Ora bisognerà capire se il numero uno sarà stato costretto o meno a compromessi nella composizione del Comitato permanente che da qui al 2022 guiderà il paese, tenendo presente che in Cina qualsiasi tipo di leader non può mai abbassare la guardia rispetto a fazioni e corrente interne.

Il gioco è più complesso di quanto spesso appaia: certe informazioni sono volutamente enfatizzate per i media internazionali, consentendo così ai funzionari cinesi di concentrarsi su altri generi di scontri e compromessi su cui tenere fino alla fine uno stretto riserbo.

Per questo c’è da scommettere che Xi Jinping non abuserà del suo strapotere, sapendo di dover salvaguardare prima di tutto il Partito e la sua unità.

Un segno di mediazione è arrivato ieri: Wang Qishan, il braccio destro di Xi e artefice della clamorosa campagna anticorruzione, è stato escluso dal comitato centrale per raggiunti limiti di età. Probabilmente Wang, acclamato dalla stampa internazionale come il «premier che la Cina non ha mai avuto», ricoprirà qualche ruolo importante nell’amministrazione cinese, forse all’interno del dipartimento per la sicurezza.

Di sicuro Xi Jinping su di lui non ha voluto forzare la mano al partito, rispettando la consuetudine che vuole un ritiro da ruoli apicali dopo il raggiungimento del sessantottesimo anno di età. In questo gioco di vittorie (l’unanimità e l’iscrizione del pensiero politico nello statuto) e parziali arretramenti (Wang Qishan), la composizione del Comitato permanente sarà l’ultimo decisivo tavolo sul quale Xi ha deciso di giocare le tante partite di questo congresso.

Ci sono due successori all’orizzonte: il fedelissimo di Xi, Chen Min’er e quello dell’ex presidente Hu Jintato, Hu Chunhua. Secondo le ultime indiscrezioni pubblicate dal quotidiano di Hong Kong South China Morning Post i due «papabili» potrebbero essere esclusi anche perché Chen Min’er dovrebbe compiere un doppio salto di carica che potrebbe risultare sgradito a qualche papavero del Partito.

Se però così avvenisse, le speculazioni su un eventuale allungamento del regno di Xi a 15 anni, anziché i canonici 10, potrebbero cominciare ad assomigliare alla realtà.