Pangloss è tornato tra noi. Al primo dei due appuntamenti multilaterali che si susseguono in questi giorni – il G20 a Roma poi la Cop26 a Glasgow, a cui partecipano 196 paesi – la tentazione è forte di descrivere il migliore dei mondi possibili, il ritrovato multilateralismo come la leva che permetterà di cambiare il mondo, di avere un «nuovo modello» di fronte alle sfide mondiali, quali la pandemia nell’immediato e la crisi climatica nel medio e lungo termine. La presa in giro di Voltaire contro Leibniz ci aiuta a squarciare il velo. L’ospite Mario Draghi, in apertura del G20, ha recitato perfettamente la sua parte: il multilateralismo è «l’unica risposta alle sfide globali», il primo ministro italiano ha invitato a «superare l’unilateralismo e il protezionismo» che però dilagano a nord, a sud, all’est e all’ovest, malgrado il piccolo successo dell’accettazione dei 20 della tassazione al 15% delle grandi multinazionali.

L’occidente ieri a Roma ha cercato prima di tutto di dimostrare che gli assenti hanno sempre torto: Cina e Russia hanno manifestato tutto il disprezzo che provano verso le grandi messe multilaterali, Xi Jinping e Vladimir Putin ieri erano assenti (e lo saranno anche a Glasgow, come lo sono stati al vertice occidentale sull’Afghanistan all’inizio di ottobre), collegati in video. I paesi del G20 – i venti più ricchi – sono responsabili dell’80% delle emissioni di Co2 e tra il 2015 e il 2019 hanno finanziato per 3300 miliardi di dollari le energie fossili (carbone, petrolio, gas) che oggi promettono di «relegare nel passato» (richiesta del segretario dell’Onu, Antonio Guterres).

«Abbiamo specialmente bisogno che i più grossi emettitori, le nazioni del G20, arrivino a un forte impegno per il 2030 se dobbiamo restare entro un aumento di 1,5 gradi» e una neutralità carbone nel 2050, ha detto il presidente della Cop26, Alok Sharma. Ma Xi Jinping, in video, già mette le mani avanti: per il leader cinese che non esce dal suo paese dall’inizio del Covid, i «paesi industrializzati» devono dare l’esempio, accettando «pienamente le particolari difficoltà e preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo». Xi Jinping si propone come capofila del sud contro l’occidente, nel comunicato finale sono state eliminati i riferimenti precisi a delle date per la riduzione di Co2, si parla vagamente di «azione immediata», di «azioni significative ed efficaci di tutti i paesi», invece che “2050” per la neutralità carbone è scritto «metà secolo». Anche la Russia frena, e dietro seguono molti altri, India, Arabia saudita, Brasile, Messico, Turchia, Indonesia, ma anche l’Australia.

Le tensioni tra Usa e Cina fanno da sfondo, in attesa del non ancora precisato «vertice delle democrazia» promesso da Joe Biden (che ha cercato di lenire la crisi con la Francia, esclusa dall’Aukus nel Pacifico). A Roma c’è stata la prima riunione dell’Alleanza interparlamentare sulla Cina, un’organizzazione nata il 4 giugno 2020 (anniversario di Tienammen), 200 parlamentari di 21 paesi, che hanno ricordato i punti di frizione: Tibet, Hong Kong, Uyghur, Taiwan (con al centro l’interesse di tutti per la produzione di semiconduttori, la cui penuria rischia di frenare la ripresa post-Covid).

Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha messo in guardia: soprattutto, non «interferire» su Taiwan e sono dure quanto inequivoabili le parole arrivate in video di Xi Jinoing: «Chi sostiene Taiwan ne pagherà il prezzo». Commissione e Consiglio Ue giovedì hanno pubblicato una lettera che deplora «le reazioni delle autorità della Cina» e respinge «minacce, pressioni politiche e misure coercitive» contro la Lituania, colpevole di aver aperto un ufficio di rappresentanza di Taiwan. La Russia ha attaccato sul fronte dei vaccini. Putin ha chiesto all’Oms di «aumentare la velocità con cui analizza e autorizza vaccini e terapie» anti-Covid, pensando soprattutto al suo Sputnik, poco riconosciuto nel mondo. Per Putin, si tratta di «concorrenza sleale», di «protezionismo».

L’impegno del G20 è di fornire dosi per vaccinare il 40% della popolazione mondiale quest’anno e il 70% entro metà 2022 (Ue, Usa, Gran Bretagna, Canada hanno 600 milioni di dosi non usate, dice l’ambasciatore dell’Oms, Gordon Brown). Emmanuel Macron ricorda: ci vogliono i 100 miliardi di dollari per aiutare i paesi poveri nella transizione climatica, promessi 12 anni fa e mai versati. La Ue promette di versare il 25% di questa cifra. In attesa di una conferma dell’impegno degli Usa da parte di Biden.