Lo hanno paragonato a Marine Le Pen, ma in realtà il suo stile provocatorio e aggressivo è più simile a quello di Donald Trump: non esita a suscitare scandalo, a ricorrere all’invettiva e a un vocabolario apertamente razzista. Con il risultato che il paese è scosso da tempo da una autentica marea d’odio.

La campagna elettorale di Geert Wilders che guida il Partito per la libertà, Pvv, formazione xenofoba e anti-islamica in testa nelle intenzioni di voto per le elezioni politiche olandesi del 15 marzo, si è aperta nella cittadina di Spijkenisse, nei pressi di Rotterdam, con una serie di dichiarazioni allarmanti. «Quelle che ci attendono sono elezioni storiche: gli olandesi possono decidere di tornare a essere padroni del loro paese. Possiamo finalmente liberarci della feccia marocchina», ha affermato davanti a una piccola folla l’esponente della nuova destra.

 

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Toni estremi ma non nuovi per quello che da tempo risulta come il politico più popolare dei Paesi Bassi e la cui formazione potrebbe raccogliere poco meno di 30 seggi, su un totale di 150, vale a dire oltre il 20% dei consensi, sopravanzando di alcuni punti i liberal-conservatori del premier Mark Rutte che dal 2012 è alla testa di un esecutivo di «grande coalizione» con i laburisti. Stando ai sondaggi, alle spalle delle formazioni di Rutte e Wilders dovrebbero piazzarsi cristiano-democratici e social-liberali, stimati intorno all’11%, mentre i laburisti, dati sotto il 10%, sarebbero superati sia dal Partito socialista, ex maoista, che dalla Groen-Links, la sinistra verde guidata dal giovane Jesse Klaver, una delle figure emergenti della sinistra locale.

Quella di Wilders potrebbe però rivelarsi come una vittoria esclusivamente simbolica, vista l’indisponibilità delle altre forze a governare con il Pvv. Ciò non toglie che le sue campagne razziste continuano a dividere il paese, oltre ad alimentare un clima di inquietudine che finisce per giovare proprio alla destra razzista che ha quadruplicato i consensi nell’arco di un decennio. In questo contesto, quando nei giorni scorsi si è appreso che era stata aperta un’indagine su uno degli agenti preposti alla sua sicurezza, un poliziotto 35enne di origine marocchina sospettato di contatti con la criminalità, il Pvv ha deciso di annullare provvisoriamente i comizi del proprio candidato che via twitter ha dichiarato di sentirsi minacciato.

Cinquantaquattro anni, figlio di una coppia mista, padre olandese e madre indonesiana, già assistente del politico liberale Frits Bolkestein, quello della direttiva Ue sulle liberalizzazioni, Geert Wilders ha costruito la sua intera carriera all’insegna dell’islamofobia e di un aperto razzismo, favorendo, non senza complicità da parte delle forze politiche di centrodestra, una evidente deriva identitaria nel dibattito pubblico. Uno studio recente rileva ad esempio che quasi il 40% degli immigrati turchi e marocchini, i due gruppi più numerosi in un paese dove circa l’11% della popolazione è di origine straniera, non si sente accettato in seno alla società olandese.

Così, se oggi tra i punti principali del programma del Pvv figurano la Nexit, l’uscita del paese dall’Ue, e un referendum sull’Euro, il suo vero fondo di commercio resta il rigetto dell’immigrazione proveniente dai paesi musulmani. Posizioni assortite dalla richiesta di chiudere le moschee, di tassare le donne musulmane che indossano il velo e di mettere al bando il Corano che lo stesso leader xenofobo ha paragonato al Mein Kampf. Già processato e condannato a più riprese per incitazione all’odio razziale, Wilders non ha esitato a parlare in diverse occasioni dell’Olanda come di un paese «colonizzato dagli islamici», mentre nel 2010 aveva realizzato un cortometraggio, Fitna, in cui sosteneva che la violenza fondamentalista fosse ispirata al Corano.

Se il tribuno razzista dai capelli ossigenati punta tutto sull’identificazione dell’islam come una minaccia alla libertà e sul possibile ritorno a una società coesa, in un paese che sembra risentire molto meno di altri della crisi economica ma che non dimentica gli assassinii del politico di destra Pim Fortuyn nel 2002 e del regista Theo Van Gogh due anni più tardi, il deputato Martin Bosma, considerato l’ideologo del Pvv, ha indicato quale sia l’orizzonte complessivo della prima forza politica olandese. Bosma si è scagliato contro la presunta egemonia culturale della sinistra che avrebbe imposto alle società occidentali il multiculturalismo, le migrazioni di massa e il crescere della presenza islamica, oltre a paragonare il destino degli olandesi, se non si fermerà l’immigrazione musulmana, a quello dei bianchi del Sudafrica, a suo dire sopraffatti dai neri dopo la fine dell’apartheid.