L’inizio di Xenoblade Chronicles X, nuova space-opera di Tetsuya Takahashi per la Wii U di Nintendo, è un caleidoscopico esempio di guerre stellari dove convivono in una sinfonica grandezza apocalittica la maestosa e solo apparente immobilità dello spazio dipinto da Kubrick in 2001, la meccanica e ipercinetica violenza d’acciaio dei “mecha” nipponici e la contemplazione lenta, astro-feticista e lucasiana di immani astronavi. Nel 2054 la Terra è coinvolta nelle battaglie spaziali tra due sconosciute civiltà aliene e la sua superficie è annientata dagli effetti collaterali del catastrofico conflitto. Dal nostro pianeta fuggono, esuli nello spazio, arche con a bordo milioni di profughi; qualcuna viene distrutta bruciando nel nero vuoto con il suo carico di vite e memoria umana. Altre si salvano, iniziando una lunga peregrinazione nell’oscurità cosmica per trovare un luogo dove l’uomo possa ricominciare a prosperare. Seguiamo il destino di una in particolare, braccata da forze ostile che ne causeranno infine il naufragio su un pianeta remoto che verrà chiamato Mira dai sopravvissuti. I resti della grande arca, lambiti da schegge di materia azzurrognola che si ergono come muraglie di ghiaccio artificiale, sorgono isolati su Mira con il nome di Neo Los Angeles. Dopo questo intenso preludio che dimostra l’abilità di Takahashi e dei Monolith Soft nel raccontare per immagini ogni forma della science-fiction spaziale, cominciamo a giocare e per la prima volta nella storia dell’opera dell’ autore dobbiamo “costruirci” il protagonista decidendone l’aspetto fisico, il sesso e le caratteristiche, nella maniera del gioco di ruolo occidentale. Questo può creare un malinconico disappunto a chi ricorda con passione le altre invenzioni di Takahashi, l’indimenticabile Xenogears, la trilogia di Xenosaga e il primo Xenoblade per Wii, che è già un compromesso con un pubblico che cominciò a criticare la complessità filosofica e psicologica dei personaggi e delle lunghe, magnifiche scene non interattive che segmentano implacabilmente l’esperienza dei precedenti videogiochi. Come in tanti videogame di ruolo occidentali qui non c’è dunque un protagonista dalla psiche contorta e dal passato indecifrabile e traumatico ma un avatar anonimo, immemore e senza parole la cui personalità sarà colmata dal giocatore. Ma superato l’iniziale e nostalgico disappunto e speranzosi che Takahashi un giorno voglia tornare ai suoi virtuosismi narrativi, si realizza che il valore artistico e fantascientifico di Xenoblade Chronicles X è altrove, nella vastità pittorica e biologica di un pianeta la cui scoperta progressiva compone un’entusiasmante epopea personale in chi vi viaggia, nella varietà bestiale dell’ecosistema di Mira, nei combattimenti dinamici che sebbene derivino dal suo predecessore risultano più godibili, spettacolari e strategici.

Una volta stabilito il nostro alter-ego a Neo Los Angeles iniziamo a esplorare e il senso di smarrimento e di desiderio di scoperta può travolgere, comunicando meraviglia e terrore. E’ vero, le rare scene animate sono brevi e didascaliche e non possiedono nulla del galattico splendore dell’incipit, ma sono solo funzionali, pensate per spingerci laddove nessun essere umano si è spinto sulla superficie di Mira e la volontà di andare oltre l’orizzonte diviene dominante. Perché su Mira ogni panorama è stupefacente e non ripete mai gli stessi modelli negandoci la sorpresa. Dalle giungle soffocanti di una flora che supera in ardire vegetale quella della Pandora di Avatar, ai deserti parziali che richiamano alla sublime sterilità barocca di quelli di Arrakis di Dune; dalle piane su cui sorgono colline dalle forme mostruose e catene montuose dal profilo onirico, alle radure acquitrinose tra le quali si frammentano vasti laghi dall’acqua che riflette come uno specchio i policromatici tramonti. Poi c’è la fauna composta da decine di esemplari di ogni dimensione, un bestiario straordinario che non trova corrispondenze in nessun gioco di ruolo occidentale per la potenza animale e l’originalità della rappresentazione. Non tutte le bestie sono ostili e non è necessario nemmeno attaccare quelle evidentemente più pericolose, anche perché, soprattutto nella fase iniziale del gioco, queste ci possono eliminare in pochi secondi. In Xenoblade Chronicles X si sale di livello, migliorando le statistiche del protagonista e del team che controlliamo, soprattutto facendo scoperte, trovando rare risorse, recuperando i frammenti dell’arca naufragata dispersi su Mira, aiutando gli altri esuli. Perché siamo tutti stranieri in terra straniera. Ci saranno ovviamente momenti in cui sarà inevitabile sconfiggere creature che ci assaltano in branco o colossi che tentano di divorarci e rappresentano una seria minaccia per la colonia terrestre, ma è sempre l’esplorazione il vertice ludico ed emozionale su cui Takahashi ha voluto puntare.

Per decine di ore ci muoviamo a piedi, sognando di raggiungere zone che appaiono inaccessibili, ma ad un certo punto del gioco, in una fase avanzata, potremo finalmente pilotare gli Skell, grandi esoscheletri meccanici, in parole povere classici “robottoni”, in grado di farci viaggiare ovunque grazie alla loro opzione di trasformarsi in diversi veicoli terrestri, aerei o acquatici. Con la licenza adeguata potremo sfruttare gli Skell anche per combattere le creature più insidiose o i rari, antichi e imperscrutabili dei che vagano o giacciono da eoni sulla superficie di Mira. Una volta acquisita la licenza ( richiede tempo e fatiche!)per spostarci con queste macchine migliorabili e perfezionabili per renderle più letali e efficaci, risulta quasi sempre superfluo muoversi a piedi e ciò penalizza in un certo qual modo tutto il lavoro di salita di livello dei personaggi svolto fino ad allora. Ma l’ebbrezza robotica e il senso di potenza derivato dal muoverci con uno Skell ripaga tutte le fatiche e il momento della loro introduzione è studiato ad arte per non rendere troppo ripetitiva un’esperienza già molto lunga.

La colonna sonora di Xenoblade Chronicles X, scritta dal compositore Hiroyuki Sawano gìa musicista per numerosi “anime”, non ci fa rimpiangere troppo i virtuosismi cosmici, lirici e misteriosi dello Yasunori Mitsuda di altri giochi Xeno. La partitura di Sawano risulta efficace, talvolta eccellente nella sua varietà di registri e stili, tuttavia in alcune occasioni esplorative sarebbe stato preferibile che la musica tacesse, lasciando risuonare le armonie vegetali, ambientali e atmosferiche prodotte da Mira.

Escono davvero pochi videogiochi per la non fortunata console domestica di Nintendo, tuttavia, considerati nella loro rarità, questi raggiungono un’eccellenza che neanche la ridotta capacità dell’hardware di Wii U rispetto alle console di Sony e di Microsoft può offuscare e il comparto grafico di Xenoblade Chronicles X risulta impressionate, malgrado alcuni limiti tecnici, e ci dimostra che l’amore e la fantasia in fase di sviluppo di un gioco scavalcano la potenza di calcolo degli hardware.

Tetsuya Takahashi, sebbene abbia abbandonato la strada di una narrazione fantascientifica che lo ha reso un maestro della nuova science-fiction, è riuscito comunque a restituire le emozioni di un viaggio nell’ignoto, sentimenti che rimandano alle space-opera di Jack Vance o ai segmenti più ambientali e descrittivi dei primi capitoli di Almuric di Robert Erwin Howard, quando il protagonista sopravvive solitario per le lande selvagge del pianeta su cui è stato teletrasportato.

Ricordando le altre opere di Takahashi e il meglio della letteratura videoludica di genere come Mass Effect, Deus Ex, Everyone’s gone to the Rapure, Star Ocean, Halo o Dead Space, risulta evidente che la Fantascienza, sempre mutante da medium in medium, si sia trasferita, come gli esuli di Neo-Los Angeles su Mira, nelle misteriose e pericolose lande del videogioco, trovandovi una terra inesplorata, predetta e promessa dove iniziare un vita nuova.